Pubblichiamo il resoconto dell'incontro svoltosi in Redazione con il Direttore della rivista Piemonte Parchi sulla legge- quadro sulle aree protette, al quale hanno preso parte il professore Franco Montacchini, Presidente del Parco Nazionale del Gran Paradiso, il professore Andrea Vellutini, Presidente del Parco Naturale della Maremma e il dottore Nino Martino, del WWF Italia
Moschini:
L'incontro di oggi è stato organizzato con Piemonte Parchi la rivista della Regione Piemonte che, a differenza di Parchi, esce da molti anni con un'area di distribuzione prevalentemente piemontese. Da alcuni numeri, però, Piemonte Parchi ha una maggiore apertura verso i problemi generali che per altro non sono mai stati ignorati. Da qui l ' idea di avviare anche fra di noi una forma di collaborazione, essendo in pratica le uniche riviste che trattano i problemi della protezione sotto il profilo politico, culturale e documentario rispetto anche a molte riviste pregevolissime, ma che dedicano ai Parchi un'attenzione che privilegia l'immagine. Venendo all'oggetto dell'incontro vorrei rivolgere innanzitutto una domanda ai due Presidenti di Parco, uno nazionale e l'altro regionale. La discussione di oggi viene intrapresa in una fase che possiamo considerare nuova dopo l'approvazione della legge-quadro sulle aree protette, alla quale non mancherei di affiancare però la legge 142 sulle autonomie, e la legge 183 sulla difesa del suolo. Tutte innovazioni da lungo tempo attese, ma che presentano anche problemi nuovi e complessi: si pensi, per fare un solo esempio, al fatto che la legge-quadro prevede che ai nuovi Enti parco, siano affidati poteri estremamente incisivi in materia di pianificazione. Basti pensare al Piano Territoriale, accompagnato anche dal Piano Economico, a cui concorre la Comunità del Parco; nella legge 183 troviamo che i Piani di Bacino sono sovraordinati agli altri strumenti urbanistici e di pianificazione; non solo, ma leggiamo anche negli artt. 14 e 15 della 142, che vengono assegnati alle Amministrazioni provinciali nuovi compiti in materia di parchi e riserve, e che il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale ha una sua supremazia rispetto agli strumenti di pianificazione, dovendosi raccordare alla pianificazione regionale. Bastano solo questi riferimenti per capire che si apre una pagina estremamente importante, impegnativa, ma tutt'altro che facile. La domanda quindi è: come possiamo e dobbiamo guardare, nel futuro, alle opportunità che ci offrono queste nuove leggi?
Montacchini:
E' opinione diffusa che sia "meglio una legge-quadro oggi, che niente". Certamente uno dei meriti della legge-quadro è quello di inserire nella legislazione nazionale il problema dei parchi che, a mio avviso, andava affrontato sin dal 1922, anno di nascita del primo Parco Nazionale; io credo che proprio uno dei grossi problemi che hanno un pò travagliato l'esistenza dei parchi nazionali esistenti è sempre stato quello di avere delle leggi istitutive non supportate da nessun altro, provvedimento di appoggio a livello nazionale. Dovendo valutare la legge-quadro da un punto di vista di un parco nazionale funzionante, devo dire che, se non altro, è garantita la continuità di finanziamento
(cosa che era diventata quasi utopistica dal momento che l'aggiornamento della dotazione annuale dei Parchi Nazionali del Gran Paradiso ed Abruzzo è stata fatta con un decreto legge di 3 anni fa).
Ma anche su questo aspetto occorre mettere le mani avanti. Infatti nella legislazione italiana quando arrivano le leggi di copertura sono sempre delle coperte molto corte. Quando il contributo annuale dello Stato per il Parco è stato adeguato da 242 milioni a 5 miliardi nel caso del Gran Paradiso, l'Ente aveva già una spesa fissa solo per la gestione del personale e spese connesse di 3 miliardi e mezzo, che riuscivano a reperire con contributi straordinari. Oggi, nel bilancio che dovremmo approvare, il pareggio avviene con residui di gestione, se non supereremo già il livello dei 5 miliardi. Questo è semplicemente dovuto al fatto che le spese del personale lievitano a livelli estremamente alti. E' quindi importante avere una copertura fissa, perché altrimenti diventa un vero problema gestionale. Per nostra fortuna, da quando sono Presidente abbiamo un budget fisso annuale di 5 miliardi; prima c'era effettivamente da temere perché non si sapeva dove reperire i fondi. Ricordo a questo proposito che in tempi passati, in alcuni casi, il parco ha dovuto fare dei mutui e dei prestiti. In tema di personale la legge è apportatrice di un aspetto positivo, nell'affidare al CFS la sorveglianza nei parchi, gravando sul Ministero agricoltura e foreste gli oneri relativi; ma vi è anche un aspetto negativo nel fatto che nei parchi come quello del Gran Paradiso, derivati da vecchie riserve reali istituite nel 1822, c'è una lunga tradizione di reclutamento e di competenza delle guardie del territorio.
Abbiamo alcune guardie che sono tali dalla 4a o dalla 5a generazione, figli di figli di figli di figli; di guardie che hanno un grande attaccamento al territorio. Il reclutamento del Corpo di sorveglianza del Parco del Gran Paradiso avveniva nell'ambito dei suoi confini, e questo è fondamentale perché ci sia una ricaduta finanziaria sulle valli interessate. Non dimentichiamo che sul versante piemontese il Parco del Gran Paradiso rappresenta la terza azienda commerciale sul territorio come numero di addetti. Questo è un dato che forse non bisogna dimenticare, perché su uno spopolamento di zone montane questo può essere un fattore determinante per mantenere delle persone in sito con una occupazione fissa. Si possono fare altre considerazioni: la mia esperienza mi porta a dire che la costituzione del Consiglio dell'Ente parco con dei rappresentanti nominati da Ministeri diversi e dalle Province o Regioni creava dei grossi problemi di funzionalità. Il Parco del Gran Paradiso ha 18 consiglieri, parte dei quali non sono mai stati nominati (manca ancora, ad esempio, quello del Ministero dei beni culturali che non si è ancora presentato, negli ultimi 3 anni) creando dei grossi problemi di convocazione del Consiglio di amministrazione. Quello che prevede la legge è un Consiglio di gran lunga allargato, sul cui funzionamento non so esprimermi allo stato attuale. Prevedere i rappresentanti delle Regioni interessate, delle Province, delle Comunità locali porta a un eccessivo ampliamento di partecipazione. Dico questo in funzione dell'efficienza dell'organo. La cosa che secondo me è decisamente da criticare è il centralismo che questa legge propone. Infatti, mentre il Presidente era l'espressione del Consiglio di amministrazione del parco e quindi comunque anche nel Consiglio di amministrazione, l'attuale legge prevede che il Presidente sia nominato dal Ministro di concerto con le Regioni.
Un secondo e non secondario aspetto, è la nomina del Direttore del parco: egli è nominato dal Ministro dell'ambiente, previo concorso pubblico per titoli ed esami, con conseguente avocatura al Ministero anche di questa carica. Il centralismo di queste scelte vanno in senso contrario a quello che teoricamente dovrebbe essere lo spirito della legge, e cioé di portare a livello di comunità la gestione dei parchi.
Il Direttore del parco e il Presidente possono influire molto sulla gestione del parco stesso, per cui tutte le altre istituzioni, come la Giunta e il resto, diventano molto meno incisive.
Per il resto, con difficoltà forse, si riesce ad arrivare invece a delle considerazioni positive. Quello che riguarda il piano del parco, per esempio, ricalca quasi pari pari la legge istitutiva del Parco del Gran Paradiso. Fino ad oggi, sia il Parco d'Abruzzo, ma soprattutto il Parco del Gran Paradiso, hanno avuto dei grossi problemi di contrasto con le Comunità locali perché mai si sapeva in che quadro si agiva; c'erano le norme istitutive del Parco con le disposizioni di legge che davano poteri al parco, ma sul territorio si sapeva poco, mentre la costituzione di un Piano Territoriale che ponga in chiaro vincoli, limiti e possibilità di sviluppo del territorio è un fatto estremamente positivo. In questo modo tutti avranno la certezza dei loro diritti e doveri, e dovranno finire da un lato i piagnistei del tipo "ci hanno tolto tutto", uno dei ritornelli che si sentivano comunemente anche nel Gran Paradiso. Oggi siamo in un'altra fase, quindi stiamo già discutendo un piano territoriale che è un piano paesaggistico.
Vellutini:
La legge-quadro è sempre un riferimento di carattere generale, cioé nazionale, e quindi difficilmente può tener conto di quelle che sono anche le specificità territoriali.
L'esperienza del Parco della Maremma nasce all'interno di una esperienza regionale voluta dagli Enti locali e conseguentemente avviata attraverso un'autonomia operativa indipendente, e dalle leggi-quadro, e direi anche da ogni altro riferimento, perché quando poi siamo nati noi l'unica esperienza imitabile sul piano regionale era quella del Parco del Ticino. La legge-quadro sulle aree protette propone un concetto di conservazione di tipo passivo, non attivo, quasi che proteggere un territorio voglia dire incapsularlo e conseguentemente anche immobilizzarlo. Però giustamente si è sempre detto "meglio una legge-quadro piuttosto che niente", anche perché dietro al niente passa tutto, passa il controllo di tutto e passa poi l'assenza anche di riferimenti certi e valutabili.
Il Parco della Maremma è tra le aree di reperimento: questo comporta che ci siano ancora una volta rapporti con i Ministeri e Direttori generali con la conseguenza di creare tutta una serie di emotività negative come false aspettative dovute a questa identità parco-sviluppo economico legato al turismo; oppure, all'opposto, il parco-limite, il parco che blocca, il parco che di fatto agisce quindi come freno, con la conseguenza magari anche di rimettere in gioco vecchie questioni, morte e sepolte. Di contraddizioni personalmente ne trovo parecchie, come l'occuparsi di parchi urbani, forse per cercare, attraverso pochi soldi disponibili, di risolvere uno dei tanti problemi di qualche grande metropoli con il pericolo di trascurare le aree che meritano davvero attenzione. Nei comitati-parco manca un qualsiasi riferimento ai comitati scientifici; si prevedono due esperti che possono venire dal CNR, dalla Società botanica, dalle Università senza prevedere la possibilità del parco di creare autonomamente i propri organi scientifici. Di fatto però un ruolo specifico, chiaro, di funzione, di collegamento, di coordinazione manca totalmente. Si corre inoltre il rischio di una frammentazione conflittuale fra l'Ente parco e la comunità. Il primo ha il ruolo di programmazione sul territorio, la seconda il compito di predisporre il Piano Territoriale del parco. Ma il PT, scisso da una lettura generale del territorio, a me sembra assurdo.
Non dimentichiamo poi il ruolo di vigilanza o sorveglianza data al Corpo Forestale dello Stato. E' vero che anche il Corpo Forestale dello Stato è dipendente dal parco, però noi sappiamo che di fatto è un corpo di polizia, con tutti i problemi che ne conseguono. Senza pensare che parchi come il nostro, e tanti altri, hanno creato in questi anni dei loro guardiaparco che sono qualche cosa di ben diverso dai vecchi guardiacaccia e che sono qualcosa di ben diverso dalle stesse guardie forestali.
Allora come muoversi? Come si correla il nostro discorso con il ruolo delle Province previsto dalla 142 con quello delle Regioni, con quello dello Stato? La mia paura è che si ricreino ancora una volta delle sovrapposizioni rischiose e frenanti pur in presenza di una legge, che consentirebbe un uso più corretto del territorio.
La distinzione tra parchi nazionali e regionali non ha molto senso: un'area può anche essere territorialmente definita all'interno di una provincia o di una regione, ma avere ugualmente una valenza di carattere nazionale. La nostra stessa esperienza in fin dei conti lo dimostra: siamo arrivati al Consiglio d'Europa attraverso il Ministero dell'ambiente pur essendo un parco regionale di solo 10.000 ettari. Nella legge si parla anche di corsie preferenziali per quanto riguarda le incentivazioni a sostegno delle realtà che ricadono all'interno dei parchi; il recupero dei centri storici; interventi di natura idrogeologica, per la depurazione delle acque e così via.
Un problema che rimane aperto è quello dei parchi marini. Un conto è la vigilanza sul territorio e un conto è la vigilanza in mare aperto, soprattutto quando si va, non dico al di là delle 3 miglia che poi è l'isobata dei 50 metri per i pescherecci, ma addirittura alle 10-12 miglia.
L'altro elemento di fondo è il modello istituzionale. Noi siamo figli di una realtà che è quella dei consorzi, perché a quei tempi solo il consorzio poteva essere l'elemento propositivo-attuativo della gestione del territorio. Bene o male i Comuni delegavano ad un ente di loro emanazione la scelta e la gestione del territorio. Questo ha permesso anche di legare la gestione del parco con la storia del territorio. Nella legge si dice che il Piano del parco va fatto entro 6 mesi. Fare un Piano del parco che tenga conto della storia, della cultura, degli ambienti, di vita, delle tradizioni, non si può realizzare in 6 mesi. Per quanto riguarda la figura del Direttore, è giusto che un Direttore lo sia vita natural durante fino a che non va in pensione? O non può essere più opportuno sotto questo aspetto creare una figura che può essere quella di un soggetto che è chiamato a rispondere per un arco di tempo?
Tornando al modello istituzionale c'è da porsi il quesito di chi controlla l'ente. Non possono controllarlo i Comitati di controllo come avviene ora, perché sarebbe un'altra volta un impedimento operativo gestionale della sua attività; i revisori dei conti possono eseguire controlli sul piano della contabilità, ma non si stabilisce la finalità di fondo di un parco e conseguentemente non si dà ad esso piena responsabilità anche penale degli atti che compie. Corriamo il rischio di avere creato una bella struttura, che però al momento in cui si mette in pratica non funziona. La legge comunque c'è: a questo punto il problema maggiore è di farla agire sugli aspetti positivi per farla funzionare.
Martino:
Le osservazioni che ho ascoltato, soprattutto dal professore Montacchini, mi trovano concorde. Le associazioni ambientaliste hanno lavorato congiuntamente con un arco di forze politiche molto ampio sulla legge-quadro in Parlamento, sia alla Camera che al Senato; tant'è vero che è stato firmato un documento tra Italia Nostra, WWF, CAI, Lega Ambiente, Mountain Wilderness, Touring Club, Kronos, Lipu, Anni Verdi delle ACLI, Fondo Ambiente pro Natura, Comitato Parchi . Si tratta veramente di un ampio arco di forze non solo protezionistiche, ma anche di associazioni che si occupano di beni culturali e ambientali.
Senza nulla togliere alle eroiche esperienze dei parchi nazionali storici e anche ai parchi regionali storici, il problema era di dare una uniformità di intervento dalle Alpi al canale di Sicilia.
Dal punto di vista della pianificazione del territorio, la legge è quasi fatta, cerchiamo di farla funzionare; quello che non funziona in questa legge è che una serie di impegni sono rimandati ad atti normativi successivi, e quindi il giudizio non può che essere purtroppo spostato nel tempo. Dire se la legge è buona o cattiva oggi non significa nulla: bisogna vedere come e se sarà resa operante, perché altrimenti ripetiamo probabilmente errori che abbiamo fatto con la 431/85, e con la legge di difesa del suolo n. 183.
Questa legge non è bella, siamo d'accordo su questo: in essa ci sono molti limiti, e il limite di fondo è quello di dover contemperare centralismo e localismo. Siccome l'Italia non è uno Stato borbonico e non esiste un unico centro di potere con un'unica maggioranza, ogni legge è una norma che cerca di mettere tutti d'accordo con tutte le storture che ne conseguono. Noi siamo molto preoccupati anche per la possibile lottizzazione dei Direttori e dei Presidenti e credo che quello che ha introdotto il Senato rispetto ai Presidenti sia una concessione a un potere di veto incrociato di controllo da parte delle Regioni. Sostanzialmente il direttore viene più o meno nominato dal Ministro da un albo di "aventi diritto", e non sappiamo come e quando questo albo verrà fatto. Francamente, sul fatto di prevedere come Direttore di parco un laureato in scienze forestali non sono d'accordo. Chiedo che il Direttore di parco sia un qualunque laureato di questo Paese perché non esiste un profilo di Direttore di parco maturato in quanto tale: mi serve una persona ibrida che sia un buon manager, che sia un buon politico, che sia un grande mediatore, che sia, speriamo, un ottimo conoscitore di conservazione. Non mi consta che nessuna Università o scuola o esperienza di vita riesca a certificare questo ruolo formale dello Stato.
Il silenzio e assenso è una questione molto grave perché la legge prevede una cosa molto importante: affida al Piano del parco la sovrapianificazione, per cui è l'Ente parco a dover decidere il destino dell'area protetta. Il Piano del parco ha la sovrapianificazione sui piani paesistici, sui piani urbanistici, sui piani territoriali tematici, sui piani di bacino della legge l83, quindi è uno strumento molto forte. Se lo Stato attribuisce ad un'area un "top priority", perché non deve prevedere a priori che in queste aree non sia realizzato nessun tipo di opera? Perchè dobbiamo attendere un
successivo piano che definisce questo? E' un modo di far faticare la macchina dello Stato, la macchina degli Enti parco in modo un pò perverso, e che lascia adito a molte preoccupazioni per il destino di queste aree integrali. Non sono previsti neppure poteri sostitutivi, se non per il Delta del Po. Ad esempio, sono escluse dal Gennargentu e non sono complessivamente previsti nei rapporti Stato-Regioni, per cui questa è una materia che stà a dire che questa legge-quadro si farà solo e quando i Ministri e i Presidenti delle Regioni saranno realmente d'accordo su tutto. La mia preoccupazione è che la legge-quadro comunque non sia applicabile immediatamente. Infine, ma non in ordine d'importanza, l'elenco delle aree a parco. La legge-quadro fa divenire parchi nazionali alcune aree che potevano anche rimanere delle riserve, e mette nelle aree di reperimento ibridi di cui non si sa ancora che cosa siano.
Mi riferisco alla previsione di fare un Parco Nazionale del Vesuvio per risolvere problemi urbanistici e territoriali di uno Stato che non riesce a governare con gli strumenti ordinari. In questo ibrido costituzionale e istituzionale si evidenziano i limiti della legge: ciò non toglie però che, partendo da un quadro definito legale e giuridico-formale, si può sviluppare un'azione nel Paese secondo i propri livelli: nei parchi, nelle istituzioni, nel Paese, nella società civile, cercando di migliorare alcune cose e di andare avanti. Un'ultimissima questione che vorrei segnalare come positiva, è che la legge obbliga le Regioni italiane a uniformare la propria legislazione entro un anno. Secondo me è un evento molto positivo perché le leggi regionali sulle aree protette, sulle riserve, sulla tutela della natura e così via, sono quanto di più difforme esista in questo Paese. Abbiamo esempi sicuramente molto positivi di alcune Regioni che hanno piani di Parchi efficaci che funzionano. Ma ci sono Regioni che hanno delle leggi che sono degli aborti sotto qualunque profilo giuridico, scientifico e culturale lo si voglia esaminare. Per questo credo che comunque la legge-quadro apra, più che chiudere, una fase. E qui veniamo forse alla domanda di Moschini: la nuova fase è una fase forse di maggiore certezza del diritto, è una fase che dà probabilmente più grinta alle azioni delle associazioni ambientaliste, e costituirà finalmente un tavolo di trattativa chiaro e preciso tra le varie istituzioni della società civile sul destino della conservazione della natura del nostro Paese. Questa è la mia speranza.
Boscolo:
Mi sembra che i pareri espressi raccolgano un'area abbastanza ampia di convergenze di giudizio. In questo meccanismo è un pò automatico che di ogni legge si vedano i chiaroscuri, e d'altronde le leggi sono anche frutto di mediazioni a volte politiche, a volte anche culturali. In questo senso mi interessava chiedere: questa legge che cultura ha dietro? O che non-cultura ha dietro, eventualmente? E, collegato a questo, dato che noi vorremmo fare anche un discorso propositivo: quali sono i fulcri su cui fa leva chi vuole la conservazione della natura? Ecco, occorre chiederci con questo giro di opinioni quale sforzo in positivo possiamo fare per individuare delle linee di lavoro, per far fruttare al massimo quello che di esperienze di tipo politico e di tipo tecnico sono cresciute in questi anni. Vi riproporrei di intervenire ancora per cercare di rispondere a questi interrogativi: esiste in Italia un terreno culturale comune o non esiste? E cosa dobbiamo fare? Ci sono dei fulcri, delle leve su cui operare ognuno nei suoi ambiti, nei suoi ruoli?
Montacchini:
Vengo da un'esperienza regionale abbastanza valida: devo dire che nel Piemonte una sensibilità ambientale si è fatta strada in modo molto deciso e la via che si è dimostrata più valida in assoluto è stata quella della didattica. Da tempo si è lavorato anche da parte dell'Università per effettuare una grossa campagna di sensibilizzazione, che in alcuni casi ha dato dei risultati validi. Quello che, secondo me, andrebbe promossa è una grossa campagna a livello nazionale di sensibilizzazione su questa legge-quadro, per evitare disinformazioni o, come spesso accade, una cattiva informazione. Questo, ad esempio, è uno dei grossi problemi che sono stati affrontati anche sul territorio del parco, dove qualsiasi cosa si dicesse a proposito del piano paesistico concordato con la Regione Piemonte e proposto con la Regione Val d'Aosta, si diceva che noi avevamo deciso già tutto senza partecipazione. Il coinvolgimento è uno dei maggiori problemi e credo che sia la fase più significativa. Ritengo che il ritardo di moltissime Regioni nell'istituzione di aree protette sia soprattutto un fatto di mancata sensibilizzazione, oltre che di scelte politiche. Non dobbiamo disgiungere i due problemi, però credo che in molti casi sia stata una mancanza di richiesta dal basso, che invece in alcune Regioni si è verificata ed ha portato a dei risultati abbastanza positivi.
Con questo non voglio che ci si faccia delle illusioni. Anche nel caso dei primi parchi istituiti dalla Regione Piemonte ci sono state fortissime resistenze da parte della popolazione, mentre oggi ci sono dei Comuni inseriti nei parchi regionali: questo accade anche nel caso del Gran Paradiso.
Gli amministratori hanno visto che tutto sommato l'etichetta del parco paga, e questa secondo me rappresenta una rivoluzione culturale, dato che quasi dappertutto il solo sentir parlare di istituzione-parco fa paura, si teme addirittura di non poter più coltivare l'insalata nell'orto. Quindi per questo ci deve essere un grosso rilancio culturale, e la legge-quadro può essere un'occasione importante.
Vellutini:
Più che definire cosa deve essere, forse è più opportuno dire cosa non deve essere un territorio da conservare. Io mi muovo sempre da un modello non localistico ma da un modello di parco europeo. L'Europa è una realtà nella quale storia, natura, cultura sono strettamente intrecciate, e non c'è area europea al nord, al centro e al sud che non sia un'area ove nel corso dei millenni non ci sia stato un processo di trasformazione da parte dell'uomo, sulla quale l'uomo non abbia lasciato dei segni. C'è un intreccio tra quella che è la cultura di un territorio e la storia di questo. Però qui si entra in ciò che un parco non deve essere. Dopo poco si è cominciato a dire che il parco in zone di degrado sociale ed economico può essere un veicolo di promozione economica; far diventare queste aree un modello per cui la promozione strettamente legata allo sviluppo economico tipicamente turistico era in fin dei conti quello di andare a creare un qualche cosa che fosse complementare ad un ambiente, ad un mare che non è più un mare, o di realtà che non sanno offrire più niente che non sia la balera o il dancing. L'altro discorso è cosa deve essere un modello economico di uno sviluppo dell'economia: cioè fare dell'ambiente la grande risorsa, e su questo allora forse recuperare modelli di sviluppo economici più corretti, che guardano più alla qualità che alla quantità.
In questo caso la realtà parco può diventare un volano in positivo, per gestire in maniera corretta un territorio, senza affossare la storia. L'altro aspetto è cosa non deve essere un parco. Non deve sostanzialmente essere un modello istituzionale di veti incrociati o di sovrapposizioni che poi di fatto portano a separare il modello dello sviluppo da quello che è il modello della storia, il modello della storia da quello che è il modello della pianificazione territoriale.
Altro grosso problema è quello dell'educazione ambientale.
Noi, per esempio, ormai da anni ci stiamo impegnando non solo nell'educazione naturalistica che è guardare, ma in quello che è il vedere e portare a leggere. Ma allora qui ci fermiamo su tempi che non sono i tempi storici o i tempi dell'amministratore, che poi in molti casi sono tempi quinquennali legati all'elezione, ai ricambi delle maggioranze e minoranze, ma sono di fatto tempi culturali mediolunghi. Cioè la moda ecologica deve andare con il comportamento ecologico e il costume non è un qualche cosa che si inventa, né si crea dall'oggi al domani.
Martino:
Dietro la legge-quadro ovviamente c'è una cultura complessa e frutto di molti dibattiti e molte mediazioni che ha prodotto comunque alcuni esiti positivi. Il piano del parco e i poteri dell'Ente parco non sono stati troncati, così come invece alcuni emendamenti presenti in Senato volevano.
Quindi questo Ente potrà funzionare e fare un piano serio, e questo è positivo. L'aver considerato anche il problema della caccia nelle aree-parco sia nazionali che regionali in termini seri, oggettivi, va a favore di questa legge. Non si caccia nelle aree con termini, ma l'attività venatoria può essere governata solo per i residenti: questa è una questione molto importante ed innovativa che entra nella legge-quadro, che viene rafforzata dallo stesso concetto espresso nella legge sulla caccia che è in discussione alla Camera. Questo credo che finalmente farà superare anni e anni di ricorsi al TAR e diatribe di opposizioni più o meno sterili e anche, credo, farà venir meno quella contrapposizione nelle aule del Parlamento, come da tre anni succede tra il WWF e la Regione Toscana.
Finalmente usciamo dalla gestione localistica del problema e quindi dalla forza di pressione sul territorio di chi è portatore di interessi particolari e privatistici ed entriamo nel quadro di una gestione nazionale. Per cui, pur senza essere una legge scritta dagli ambientalisti, questo vorrei dirlo con forza (sarebbe stata scritta sicuramente diversamente), contempera però bene alcune delle nostre battaglie storiche.
D'altra parte devo dire che il Senato ha fatto un'attenta lettura di tutti i poteri locali. I riferimenti alla legge 142, alla legge 241, cioè ai nuovi ordinamenti delle autonomie locali operati nel testo, sono stati centellinati dal Senato con molta sagacia, per cui il ruolo delle Province, che nel testo uscito dalla Camera era un pò oscuro, è stato ben considerato dal Senato. Credo quindi che alla fine, sostanzialmente, si ha una legge che alcune cose le dice e su queste poi ci andremo a misurare. Ci sono occorsi 20 anni per avere questa legge. Adesso giriamo pagina e con le leggi regionali da riscrivere e adeguare, perché una legge-quadro non è un "dictat" ma una legge di cui va seguito lo spirito, cerchiamo di seguire quelle che sono le vocazioni del territorio, quelli che sono i problemi, quelli che sono gli stimoli.
Credo che l'aver inserito gli esponenti della società civile, del mondo accademico e scientifico, degli ambientalisti negli enti di gestione sia anche una grande sfida per tutti quanti noi a cercare di superare la sterilità dei ruoli che anche in anni passati hanno diviso accademici e politici, amministratori e ambientalisti; a cercare concretamente di affrontare un problema laddove c'è e di superarlo nell 'interesse poi di quella conservazione della natura per cui tanto lavoriamo.
Moschini:
Al di là del giudizio politico che possiamo dare, la legge-quadro un merito indubbiamente ce l'ha, ed è quello che per tutti i livelli istituzionali, e tutti i soggetti che agiscono e hanno responsabilità in questo campo fa venire meno ogni alibi. Nel senso che, da ora in avanti, ci sarà un inquadramento delle varie competenze, una definizione di ruoli a cui nessuno può più sottrarsi. Questo vale per tutti: per lo Stato, per le Regioni, per le associazioni ambientaliste dal momento che entrano come corresponsabili nel governo del territorio, che è un ruolo diverso da chi stà fuori e ritiene di dover svolgere opera di sola "critica".
Credo che lo sforzo vada portato in quella direzione, tante volte invocata da parte della Corte Costituzionale, per quanto con scarsissimo o nullo successo, di dar luogo a quella "leale collaborazione" di tutti i livelli istituzionali, ognuno naturalmente per la parte che gli compete. Qui vorrei fare un'osservazione, anche se rapida: è stato aggiunto l'articolo che dice che, entro 12 mesi, la legislazione regionale deve uniformarsi alla legislazione nazionale. Molte Regioni non hanno leggi, né belle, né brutte, semplicemente non le hanno. Altre come la Toscana, perché ha deciso di seguire un'altra strada, ha fatto le leggi istitutive dei singoli parchi. C'è da augurarsi, quindi, che questa legge serva soprattutto a far muovere quelle Regioni che sono ancora ferme.
Lo Stato ha fatto girare i lunghi elenchi di Parchi Nazionali, facendo intendere che chi non faceva niente poteva sempre rivolgersi allo sportello dello Stato; così quelle Regioni che hanno lavorato e hanno fatto i Parchi si sono trovate spiazzate perché non hanno avuto i finanziamenti diretti, e al tempo stesso hanno avuto i tagli sui bilanci. Il Piemonte credo abbia nel suo bilancio quasi una decina di miliardi, che ora deve gestire al meglio. Quindi è bene che si muovano soprattutto quelle Regioni che non hanno agito; le altre dovranno, prima ancora che uniformarsi alla legge-quadro sulle aree protette, mettersi in regola con la 142 per quanto riguarda gli Enti di gestione. In base alla 142 si dovrà andare infatti al superamento di questo strumento quali i Consorzi e quindi probabilmente alla istituzione di enti di diritto pubblico. La discussione istituzionale ha finito anche in qualche misura per depistare l'attenzione dai contenuti della politica di conservazione e di protezione, per cui il parametro di valutazione è diventato solo se il parco era nazionale, o regionale, o locale. L'esperienza
ci insegna che non esiste un modello di parco. Se esaminiamo anche l'esperienza toscana, abbiamo tre Parchi estremamente diversificati fra di loro pur essendo nella stessa Regione.
Un'altra considerazione: ho già detto prima che Ci eravamo appassionati tutti quanti, anche in polemiche furibonde, su "era meglio lo Stato o la Regione". In molti casi hanno lavorato male tutti quanti, a cominciare dallo Stato, con parchi che avevano 50-60 anni.
Montacchini:
Credo che la legge possa essere un grosso momento di rinascita dell'idea di conservazione della natura. Quello che spero veramente è che ci si riesca, soprattutto a livello regionale, dove si ha un contatto più diretto con la popolazione. Ritengo che la funzione delle aree protette sia proprio quella di un modello di sviluppo che dovrebbe dimostrare, tutto sommato, ma non solo nell'ambito dei parchi, che una corretta gestione del territorio è la corretta conservazione dell'ambiente: che è poi tutto sommato un corretto modo di vivere civile in equilibrio con l'ambiente. Uno dei grossi rischi che si corre, è l'idea che "ambiente" sia solo un lembo di bosco o un acquitrino, e che il marciapiede, o la strada, o il giardino pubblico non sia "ambiente": questo è uno dei grossi pericoli che vedo attualmente in atto a livello della sensibilità e delle conoscenze medie. Per cui, forse, anche la legge sui parchi può essere uno stimolo a ridimensionare questo rapporto uomo-ambiente che è fondamentale e che probabilmente è quello che può vincere nella vera conservazione della natura.
Vellutini:
Eravamo partiti con una posizione abbastanza negativa: si stà concludendo forse con più ottimismo Questo è possibile se mettiamo anche a frutto le esperienze vissute, compresi i contrasti e le divisioni. Giustamente diceva Moschini che a questo punto gli alibi non ci sono più, non si può più giocare a chi è più verde dei verdi, a chi è più esperto degli esperti. Se il territorio è una espressione dinamica sul quale si rapporta la vita e la cultura di generazioni in una prospettiva sempre che guarda al futuro, in senso quantitativo, allora è logico che non si può pensare di vedere il territorio isolato a sé, ma vederlo sempre in un quadro di riferimento molto più ampio e generale, nel quale la difesa del territorio si coniuga con quelle che sono le prospettive: anche di correggere modelli distorti di sviluppo e quindi anche di leggere in maniera forse diversa i modi di sviluppo cui siamo affezionati. Sotto questo aspetto il ruolo educativo si svolge solo se riusciamo a far capire alla gente, e in primo luogo alla realtà locale, il concetto di educazione e quindi di sviluppo, abolendo la protezione in senso "negativo" e facendole invece giocare un ruolo attivo come in un laboratorio permanente che non è solamente quello delle piante, o degli animali, ma che è quello dello sviluppo.
Martino:
Partendo dal presupposto che i Parchi continuano ad essere una necessità per la tutela delle nostre specie totemiche, come il lupo, la lontra, l'orso, condivido anche io il concetto che in questo paese la natura, la storia e la cultura sono intimamente correlate, per cui ovviamente l'approccio ai parchi oggi deve essere un approccio globale, un approccio di pianificazione del territorio e di conservazione dello stesso.
Il parco può essere modello di ricerca per un nuovo sviluppo che sia possibilmente il più equo e compatibile possibile. Cito a proposito il Sindaco di Civitella Alfedena quando afferma che l'istituzione di un Parco è e dà a un'area il marchio di "città d'arte". Questa legge è come se avesse istituito cento Firenze e duecento Venezia, o trecento Siena: credo che il nostro impegno sia adesso di trovare i Bernini, i Michelangelo e i Masaccio che devono costruire queste città d'arte. |