Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 10 - NOVEMBRE 1993


I parchi e la caccia in Lombardia: un adeguamento impossibile?
Alberto Tenconi*

Il dibattito in corso in Regione Lombardia sull'adeguamento della legislazione regionale alla legge 394 è stato praticamente monopolizzato, negli ultimi tempi, dalla ricerca di possibili soluzioni normative che consentano di applicare il dettato dell'art. 22, comma 6, della legge-quadro nazionale, che impone il divieto di caccia in tutte le aree protette regionali, con modalità tali da non pregiudicare l'integrità e la fisionomia dei parchi regionali istituiti nel corso degli ultimi vent'anni in attuazione del vigente piano della Lombardia.
Il problema della compatibilità della caccia con la tutela delle aree protette naturali, in effetti, ha da sempre costituito - e non solo in Lombardia, ovviamente - un motivo di opposizione e di ostacolo alle prospettive di tutela di diverse realtà territoriali di pregio, ma solo ora ha assunto, a seguito delle disposizioni emanate dalla legge-quadro nazionale, una radicalizzazione così forte ed una problematicità tanto ampia da mettere in forse le stesse prospettive di sopravvivenza del più vasto sistema di aree protette regionali del nostro Paese.
Mi rendo conto che la questione può non apparire così problematica agli occhi di molti osservatori estranei alla realtà lombarda. Per costoro l'automatica applicazione del divieto di caccia è da sempre stata un presupposto scontato per la costituzione di parchi e di riserve naturali, e probabilmente le disposizioni statali a cui ci riferiamo non hanno fornito altro che una conferma ad orientamenti già consolidati. Si sono registrati, oggi, apprezzamenti per una realistica apertura a forme di controllo tecnico delle popolazioni selvatiche.
Il problema, pertanto, può apparire circoscritto alla atipicità del parco "alla lombarda", il cui modello di tutela, d'altra parte, è criticato da molti, che non vi riconoscono i caratteri tipici di un parco vero e proprio, e ne contestano l'estensione a territori ad alto grado di antropizzazione come pure la mancanza di vincoli rigidi come, per l'appunto, quello di un'attività 'tabù" come la caccia.
Ed in quest'ottica, le difficoltà che la Regione Lombardia incontra nell'adeguare il proprio regime alle disposizioni vincolistiche della legge nazionale possono essere interpretate, semplicisticamente, come la conseguenza di una mera subordinazione delle esigenze di protezione alle istanze del mondo venatorio, che in Lombardia, peraltro, è notoriamente potente e battagliero.
Probabilmente alcuni di questi critici riterranno, in buona fede, che si siano create finalmente le condizioni per imporre alla Lombardia un modello di tutela più rigorosamente protezionistico.
Altri ancora, meno disinteressati, si compiaceranno sicuramente per il fatto che, grazie alle nuove leggi statali, si siano determinate favorevoli condizioni per un pesante ridimensionamento di un così ampio sistema di aree protette, che finora ha rappresentato quantomeno un ostacolo efficace alle mire degli speculatori.
Sembra dunque il caso di fornire un chiarimento sulla questione e proporre con l'occasione un dibattito franco ed aperto su questa tematica, attraverso il quale, prendendo spunto dalle vicende che interessano più direttamente la Lombardia, sia possibile far emergere indicazioni e valutazioni di interesse più generale sulle implicazioni legate ai diversi approcci possibili alla questione della caccia nelle aree protette.
Una valutazione attenta di questo argomento, apparentemente particolare, può inoltre fornire, come vedremo, illuminanti spunti di riflessione sulla fisionomia stessa del modello parco naturale regionale, che lo Stato sembra voler imporre in termini univoci e forse incompatibili con le effettive esigenze e possibilità locali, ignorando totalmente le esperienze maturate dalle Regioni nel corso degli ultimi decenni.
Per un adeguato esame della questione, occorre innanzitutto illustrare la situazione legislativa della Lombardia, le motivazioni della sua peculiarità e le relative implicazioni nell'attuazione del suo piano generale delle aree protette.

La legislazione della Lombardia

A tutti è certamente noto che la L.R. 30.11.83,n. 86, che norma la materia delle aree protette in Lombardia, prescrive il divieto di caccia nelle sole riserve naturali classificate come integrali ed orientate, confermando quanto stabilito dalla legge regionale sulla caccia, allora vigente, la n. 47/ 78, che in deroga a quanto previsto dalla legge 968 limitava già l'applicazione di tale divieto alle sole riserve così classificate.
Per le altre aree protette la L.R. 86/83 demanda quindi la regolamentazione speciale sulla caccia ai relativi strumenti di pianificazione generale e settoriale, che possono ovviamente introdurre limitazioni e vincoli assoluti o parziali, in considerazione dei particolari obiettivi di tutela e di comprovate esigenze di salvaguardia, in base agli effettivi caratteri ambientali della singola area o di parte di essa.
Questa regola è risultata valida soprattutto per i parchi naturali, la cui disciplina generale è stata improntata, in Lombardia, all'obiettivo di garantire un'organizzazione unitaria agli ambiti territoriali più pregiati e sensibili della Regione, attraverso la sperimentazione di modelli di pianificazione e gestione delle risorse naturali e paesistiche compatibili con l'equilibrio ecologico, ma al contempo realisticamente applicabili alla realtà ambientale e socioeconomica di un territorio antropizzato e sviluppato come la Lombardia.
Occorre ricordare che l'effettivo regime di tutela di ciascun parco è determinato, in via definitiva, dal suo strumento di pianificazione generale, mentre fino alla data della sua adozione vigono unicamente le norme di salvaguardia provvisorie stabilite dalle singole leggi istitutive. Tali norme di salvaguardia, peraltro, sono prevalentemente rivolte ad evitare trasformazioni e modifiche irreversibili nell'assetto territoriale ed ambientale del parco, tali da pregiudicare le future scelte di pianificazione in quest'ottica di salvaguardia la caccia non è sottoposta ad alcuna disposizione restrittiva, fino all'emanazione del piano del parco.
Sarà quindi il piano del parco a determinare, sulla base degli elementi conoscitivi e di valutazione che devono essere inderogabilmente assunti in questa fase, gli ambiti entro i quali la caccia dev'essere preclusa ed i criteri particolari che devono essere rispettati per la sua disciplina nelle zone ove essa è consentita, garantendo tra l'altro forme coordinate di gestione e pianificazione. Questa impostazione, dunque, prevede che l'attività venatoria nelle aree protette sia considerata alla stregua di qualsiasi altra attività esercitata nel territorio tutelato, la cui continuazione, secondo gli indirizzi applicati in Lombardia, viene preclusa totalmente solo qualora ne sia rilevata l'assoluta incompatibilità con la conservazione dei valori naturali ed ambientali tutelati, o altrimenti viene sottoposta a limitazioni e regolamentazioni speciali atte a renderla compatibile.
Secondo un approccio razionale, non affetto da pregiudizi ideologici o emotivi, non vi è ragione alcuna che la gestione della fauna omeoterma sia trattata, anche in tali zone, secondo principi diversi da quelli che devono essere applicati nella gestione di ogni altra risorsa naturale e che, conseguentemente, la disciplina del suo prelievo non sia determinata in relazione a verifiche di compatibilità e di eventuale funzionalità con gli equilibri ambientali che riguardano la risorsa in esame.
Se si ritiene quindi che il raggiungimento di una condizione di sviluppo ecologicamente compatibile sia prima di tutto legata all'affermazione di un approccio razionale nella gestione delle risorse naturali, il parco, in quanto oggetto di una prioritaria attenzione ai fini della sua tutela ecologica, non può che essere il luogo privilegiato in cui si sperimenta l'applicazione delle forme più razionali di gestione delle risorse stesse.
Il particolare approccio al tema della caccia nei parchi della Lombardia è pertanto coerente con la filosofia generale che la Regione ha inteso applicare nella definizione del proprio sistema di aree protette.
Questa impostazione ha senza dubbio caratterizzato in modo determinante l'assetto complessivo del sistema dei parchi lombardi, consentendone lo sviluppo nelle attuali dimensioni e favorendo l'affermazione di modelli particolarmente complessi di pianificazione integrata delle componenti territoriali e delle risorse ambientali, con risultati che a tutt'oggi possono essere proposti all'attenzione di quanti ricercano punti di riferimento apprezzabili per la determinazione di analoghe iniziative di tutela.
E' da tener presente, a questo proposito, che se il modello di parco proposto dalla Lombardia si è sviluppato con questa fisionomia lo si deve innanzitutto alla necessità di adattarlo alle caratteristiche ambientali e territoriali della Lombardia, dove più che altrove emerge l'esigenza di coniugare la tutela degli ambienti naturali residui alla politica di riordino e riqualificazione dell'ambiente urbano, di assicurare la salvaguardia delle risorse naturali attraverso il coordinamento generale della pianificazione territoriale e paesistica di vaste aree omogenee, di contrastare il progressivo deterioramento dell'ambiente metropolitano mediante iniziative che favoriscano il recupero delle aree degradate e la ricostruzione e riqualificazione del verde, di tener conto della compatibilità ambientale delle molteplici attività esercitate su territori densamente popolati.
L'assenza di vincoli pregiudiziali all'esercizio venatorio nei parchi non solo è coerente con questa impostazione, ma è funzionale all'applicazione del modello di tutela proposto ed alla definizione di confini appropriati alle effettive esigenze di protezione. In primo luogo, infatti, ha consentito di perimetrare i parchi in modo da ricomprendere in ambiti di pianificazione e gestione unitari tutte le aree caratterizzate da elementi ambientali e territoriali, tra loro connessi ed interagenti, che concorrevano a formare sistemi complessi ma geograficamente omogenei di dimensioni adeguate allo scopo, e questo anche laddove l'ambiente naturale residuo appariva discontinuo e frammentario, ed era quindi opportuno perseguirne il recupero ed il potenziamento entro un quadro di riferimento organico.
Con questo criterio, ad esempio, si è potuto dare un perimetro unitario a diversi parchi fluviali di pianura, con la prospettiva di favorire la ricostruzione dei collegamenti naturali tra i biotopi relitti lungo le rive. La stessa logica ha favorito l'estensione dei perimetri di alcuni parchi montani per ricomprendere, insieme alle zone incontaminate di vetta, anche le aree di fondovalle, più suscettibili di subire uno sviluppo incontrollato e scoordinato i cui effetti negativi possono sconvolgere l'equilibrio di un intero comprensorio montano.
E' evidente che questo risultato si è reso possibile solo dal momento che alla costituzione del parco non si è associata l'immediata applicazione di un divieto assoluto di caccia, difficilmente giustificabile in relazione ai caratteri delle aree in esso ricomprese ed al principio di una salvaguardia mirata, in attesa del piano del parco, ad impedire compromissioni irreversibili dell'area tutelata.
La mancanza di questa pregiudiziale ha offerto un altro vantaggio nella messa a punto della disciplina di gestione delle aree protette.
Attraverso i piani dei parchi, infatti, è stato possibile introdurre, a seconda dei casi, divieti più mirati e opportunamente circoscritti nelle aree di effettivo valore faunistico, graduare i limiti venatori in base a indagini scientifiche e valutazioni tecniche che tenessero conto delle implicazioni gestionali e delle possibilità di controllo.
Peraltro, si è avuta l'opportunità di promuovere interessanti forme di sperimentazione nella gestione faunistico-venatoria, che hanno consentito, in alcuni casi, di valorizzare le esperienze più qualificate nella conduzione di particolari istituti venatori e di acquisirne la collaborazione indispensabile per garantire la conservazione ed il ripristino di biotopi di eccezionale interesse faunistico.
Non si vuole con ciò nascondere che nell'esperienza lombarda vi siano state situazioni in cui, grazie alla flessibilità consentita da questa normativa, sia potuto prevalere, a dispetto delle ragioni di tutela avanzate in sede tecnica, il prepotente interesse dei soli cacciatori, che in effetti hanno talvolta impedito che anche in sede di pianificazione dei parchi si introducessero le opportune limitazioni all'esercizio della loro attività.
Cionondimeno, occorre rilevare che fino ad ora tali opposizioni oltranzistiche hanno certo impedito, ma solo in alcuni casi, l'applicazione di misure di tutela adeguate del patrimonio faunistico, ma il danno è stato circoscritto a questo aspetto: non è stata pregiudicata la tutela assicurata dal piano all'assetto generale del parco, né sono venuti meno i vincoli posti ad altre attività, suscettibili di provocare danni irreparabili e trasformazioni irreversibili del territorio. Ben più gravi conseguenze vi sarebbero state se il divieto di caccia fosse stato indissolubilmente legato all'esistenza stessa dell area protetta.

Le leggi 394/91 e 157/92

Si può ben capire, dunque, che l'introduzione obbligatoria del divieto di caccia anche nei parchi regionali, prevista dalla legge 394/91, abbia aperto immediatamente una grave crisi nel sistema delle aree protette della Lombardia.
In generale, come noto, la legge-quadro ha deluso le aspettative di chi sperava in un giusto riconoscimento ed in una doverosa valorizzazione dell'esperienza regionale.
Ma la norma che sancisce l applicazione inderogabile del divieto di caccia in tutte le aree protette regionali, comunque classificate, ha dimostrato più di ogni altra cosa quanto il legislatore statale disconosca la validità delle esperienze già realizzate, imponendo l'adeguamento delle realtà regionali ad un unico modello di riferimento, la cui fisionomia non appare compatibile con gli indirizzi finora perseguiti in Lombardia. La priorità che la legge-quadro ha attribuito alla repressione della caccia nelle aree protette attesta, tra l'altro, di un'imperdonabile superficialità nell'identificazione delle reali necessità di tutela delle aree protette regionali .
Chi conosce realmente le problematiche delle aree interessate dalle iniziative di tutela regionale sa certamente che sono ben altre le minacce che incombono in modo preoccupante sulla conservazione degli ambienti in esse ricompresi: è davvero paradossale che quello sulla caccia sia l'unico vincolo ritenuto irrinunciabile per la tutela di un parco!
Era inoltre sintomo di grande ingenuità pensare che questa norma potesse avere effetti positivi sulla stessa tutela della fauna, determinando un incremento delle aree sottratte alla caccia era decisamente più probabile che essa favorisse una riduzione della superficie o addirittura la soppressione delle aree protette già costituite!
E' la conferma di tale prospettiva non si è fatta attendere, e si è presentata in termini tali da non potersi escludere che fosse già prefigurata dal legislatore statale!

La soluzione proposta dalla legge 157/92

Infatti, mentre già si registravano, in sede locale, le prime proposte di smembramento, declassamento e soppressione dei parchi regionali della Lombardia, le lamentazioni dei cacciatori trovavano un preannunciato conforto dalla nuova legge-quadro sulla caccia, la 157/92, che ha indicato una risoluzione del problema così ben congegnata da soddisfare, nel contempo, anche le aspettative finora inevase degli speculatori e di quant'altri avevano mal digerito la tutela assicurata dai parchi.
A fronte della riconferma del divieto di caccia imposto dalla legge 394, l'art. 21 della legge 157 dà atto, implicitamente, che per i parchi regionali già esistenti, in cui non vige tale divieto, non è materialmente possibile procedere ad un immediato ed automatico adeguamento. L'applicazione del divieto è quindi rinviata, in questi casi, al 1995, per dar tempo alle Regioni interessate di adeguare la propria normativa.
Il fatto grave, è che a questo punto la legge indica le modalità con le quali procedere a tale adeguamento: la riperimetrazione dei parchi esistenti! Secondo un'interpretazione restrittiva della norma, la legge introdurrebbe quindi il seguente principio inquietante: i programmi di tutela ambientale delle Regioni sono di fatto subordinati alle esigenze prevalenti della pianificazione venatoria e, conseguentemente, i sistemi di aree protette già realizzati debbano essere ridimensionati laddove contrastino con gli interessi dei cacciatori!
Per comprendere qual i effetti potrebbe concretamente determinare tale adeguamento sulle dimensioni dei parchi della Lombardia, la norma dev'essere posta in relazione a quanto stabilito in altra parte della stessa legge.
L'art. 10 prevede infatti che il territorio destinato a protezione della fauna non superi il 30% in ogni Regione e addirittura il 20% nel territorio alpino, includendo in queste percentuali anche le superfici ove sia vietata la caccia per la presenza di aree naturali protette.
Questa previsione può risultare ininfluente per altre realtà regionali, dotate di un sistema di aree protette circoscritto, ma per la Lombardia, che ha già parchi e riserve istituiti sul 20% del territorio regionale, ha un effetto dirompente: la riperimetrazione dei parchi regionali non rappresenta più un'eventualità, ma un obbligo! Si pensi che già ora la superficie di aree protette della Provincia di Sondrio, completamente alpina, supera il 30% del territorio provinciale, senza contare i previsti parchi del Bernina Disgrazia e del Livignese.
Di fronte alla prospettiva desolante di dover ridurre radicalmente la superficie dei propri parchi, la legge 157 sembrava comunque offrire delle soluzioni interpretative che consentissero di adeguare la legislazione regionale ai vincoli venatori prescritti, senza con ciò far venir meno l'integrità territoriale del sistema di aree protette ed il relativo livello di tutela complessivo sulle altre componenti ambientali, territoriali e paesistiche.
Occorre dire che la legge 157 non ha certo aiutato a chiarire il significato di queste aree contigue: infatti in nessun'altra parte della legge statale viene richiamato questo istituto, ignorando la necessità di raccordarlo con le altre norme sulla pianificazione venatoria e le nuove forme di gestione per ambiti territoriali omogenei.
D'altra parte tutta la legge statale sulla protezione della fauna omeoterma ed il prelievo venatorio appare fortemente scoordinata con la normativa sulle aree protette varata pochi mesi prima, a conferma che l'effettivo governo della gestione faunistica in ambito nazionale prescinde ancora totalmente dalla programmazione delle aree naturali protette, facendo apparire velleitario e patetico ogni tentativo di perseguire il buon governo del patrimonio faunistico attraverso iniziative massimalistiche destinate ad essere facilmente prevaricate.

La proposta di adeguamento della Regione Lombardia

Ritornando, comunque, allo specifico problema delle aree protette lombarde, vi è da dire che la norma introdotta dalla legge 157/92 è apparsa nonostante tutto utilizzabile dalla Regione, in modo da adeguare la propria legge alle prescrizioni della L.394 senza procedere ad un'effettiva riduzione delle aree protette esistenti, e salvaguardare nel contempo la fisionomia del loro regime di tutela, facendo ancora una volta riferimento al piano del parco come strumento fondamentale per la determinazione delle forme differenziate di tutela dell'area protetta.
In proposito, l assessore regionale Fiorello Cortiana si pronunciava in questo modo, in una lettera del maggio scorso, indirizzata al Ministro dell'Ambiente: "Tenendo conto della particolare estensione del sistema dei parchi lombardi (superiore al 20% del territorio regionale), nonché delle effettive caratteristiche ambientali delle aree in essi ricomprese, non appare opportuna, né tecnicamente giustificabile, l'estensione del divieto di caccia all'intero territorio racchiuso negli attuali confini.
Si presenta quindi la necessità di un adeguamento legislativo regionale che consenta di distinguere le aree da assoggettare a divieto di caccia da quelle da sottoporre ad un regime di tutela venatorio differenziato, ai sensi dell'art.32 della L.394/91, in relazione alle effettive e comprovate esigenze di tutela faunistica.
Non può esserci dubbio alcuno, d'altra parte, che tale adeguamento legislativo debba essere effettuato con modalità e secondo criteri tali da non pregiudicare in alcun modo l'integrità territoriale dell'ambito già sottoposto a tutela dalla Regione, né compromettere il livello di tutela necessario per assicurare la salvaguardia dei valori ambientali e paesistici di ciascun parco.
Certi di corrispondere in tal modo al dettato ed allo spirito delle disposizioni legislative statali, gli assessori regionali al territorio, all'ecologia ed all agricoltura hanno quindi predisposto un progetto di legge regionale che si propone di adeguare la vigente legislazione regionale in materia, definendo le procedure attraverso le quali sarà possibile, per i parchi lombardi, applicare con gradualità, ma comunque nei termini prescritti, la disciplina prevista dalla legge 394/91, confermando nel contempo la dimensione complessiva del territorio già tutelato ed il regime di protezione ambientale e paesistica previsto dal piano regionale delle aree protette approvato con la LR. 86/83.
Benché la legge statale dia tempo fino al I gennaio 1995, si fa presente comunque la necessità di assicurare una sollecita emanazione di tale adeguamento legislativo regionale, onde evitare, tra l'altro, che il permanere di una situazione incerta favorisca il malcontento nelle popolazioni locali, frutto di interpretazioni massimaliste e di azioni strumentali già in atto per destabilizzare il sistema delle aree protette della Regione.
Risulta necessario, pertanto, che codesto Ministero, dimostrandosi consapevole della gravità della situazione, assicuri un responsabile sostegno all'azione di questa Giunta regionale e favorisca il buon esito dell iniziativa nell'interesse comune della tutela dell ambiente".
Per meglio comprendere i concetti su cui si è basata la proposta legislativa in questione, è interessante leggere il contenuto di una nota esplicativa del Servizio tutela ambiente naturale e parchi regionali, con la quale, in assenza di qualsiasi chiarimento in merito da parte del Ministero, si è cercato di dare alle oscure disposizioni statali una interpretazione ragionevole e giuridicamente circostanziata: "Per quanto riguarda specificatamente il concetto di "riperimetrazione" contenuto nel citato art.21, I comma, lett. b) della legge 157/92, si ritiene che tale concetto vada inteso con esclusivo riferimento all'individuazione dell'ambito territoriale di rilevanza faunistica e non certamente in funzione di una complessiva riduzione dell'area protetta, stante il tipo di normativa, avente natura settoriale, in cui tale "riperimetrazione" è prevista. Il dato testuale dell'articolo di legge in questione legittima, quindi, l'individuazione, in sede pianificatoria, delle aree contigue al parco così riperimetrato, nelle quali consentire, proprio in ragione della loro irrilevanza faunistica, l'esercizio dell'attività venatoria nei limiti di cui all'art. 32,111 comma, della legge 394/91.
Tali aree coincidono in sostanza, come sopra detto, con una sorta di "zona di rispetto" del parco vero e proprio, nelle quali, comunque, va garantita, attraverso il P.T.C., un'adeguata tutela paesistico-territoriale. Il legislatore statale ha certamente tenuto in considerazione la particolare natura dei parchi regionali istituiti antecedentemente l'entrata in vigore della legge 394/91, comprendenti territori normalmente caratterizzati da una complessa articolazione in aree a diverso livello di antropizzazione, non necessariamente dotate di rilevanti elementi di naturalità, ma per le quali è spesso prevalente l'interesse paesistico rispetto a quello naturale e la cui presenza all'interno dell'area protetta ha una funzione strategica irrinunciabile per il riordino territoriale e la riqualificazione ecologica del parco.
In tale contesto, il legislatore regionale ha ricompreso nei parchi naturali porzioni di territorio per le quali non sempre è giustificabile l'applicazione di limiti assoluti all'esercizio della caccia quali: quelli previsti dalla legge statale per le aree a parco sensu strictu, ma per le quali dev'essere comunque prevista un'adeguata tutela paesistico-territoriale, quale può essere realizzata, appunto, attraverso la particolare pianificazione territoriale-ambientale prevista dalla legislazione regionale per le aree protette.
Non può quindi ritenersi fondata la tesi secondo cui il legislatore statale, in sede di normativa settoriale, quale si configura appunto la legge 157/92, abbia voluto azzerare la produzione legislativa regionale antecedente la legge 394/91, ipotizzando "toutcourt" una riperimetrazione dei parchi regionali che desse il risultato di ridurre sostanzialmente la superficie dei parchi regionali e di sottrarre, di conseguenza, ad un'adeguata tutela quelle aree che, seppur comprese nel perimetro di detti parchi, non siano caratterizzate da precipua valenza naturalistico-faunistica.
Si può più ragionevolmente affermare, invece, che il legislatore statale abbia inteso graduare le modalità di tutela faunistica nell'ambito dei parchi regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394/91, proprio in considerazione della peculiarità territoriale, sopra esplicitata, di tali parchi". Purtroppo, la fiducia riposta nella disponibilità del Governo a recepire questa ragionevole interpretazione è stata presto disillusa.

La risposta del Governo

La legge, approvata dal Consiglio regionale il l 6 giugno di quest'anno, non ha ottenuto l'atteso assenso governativo.
La risposta del Governo, peraltro, non dà spazio ad incertezze interpretative e dimostra anzi, in modo inequivocabile, come la posizione della Regione e dello Stato si pongano in questa materia su distanze siderali .
Il Commissario di Governo, in sostanza, sostiene con risoluta e singolare certezza ma senza fornire alcun argomento a sostegno della sua tesi - che le aree contigue debbano considerarsi a tutti gli effetti esterne e quindi sottratte al regime di tutela assicurata dall'area protetta.
Ritiene quindi che la riperimetrazione a cui debbono essere sottoposti i parchi regionali esistenti deve produrre l'effetto di una vera e propria riduzione dell'area protetta, avente lo scopo di 'rendere effettivo il divieto dell'esercizio venatorio in aree costituenti il parco naturale regionale'.
E' difficile pensare che alla formazione di un pronunciamento così lapidario possano aver concorso solo considerazioni di ordine giuridico: abbiamo visto quanto le norme statali a cui si è fatto riferimento si presentino confuse, ambigue, contraddittorie ed imprecise. Lo spazio interpretativo è certo assai ampio, come è stato possibile dimostrare, ed il Commissario di Governo non si è dato certo premura di confutare le tesi della Regione con argomentazioni altrettanto circostanziate.
E' legittimo supporre, quindi, che a questa risoluzione si sia giunti piuttosto sulla base di considerazioni che entrano nel merito degli interessi in gioco prima di tutte la fisionomia dell'area protetta ed il suo ruolo nel governo dell ambiente e del territorio. Lo Stato appare affezionato ad un'idea di parco regionale molto lontana dalla concezione maturata dall'esperienza non solo della Lombardia, ma anche delle nazioni europee che, ben prima della nostra, si sono avventurate su questa strada. Esso non attribuisce valore di area protetta ad un istituto di tutela la cui dimensione, sia culturale che territoriale, debba risultare estesa oltre i confini di un'oasi di rifugio faunistico.
E' davvero avvilente pensare che, secondo l'indirizzo governativo, alla perimetrazione dei parchi si debba d'ora in poi provvedere prescindendo da valutazioni complesse sull'unitarietà dei carattere strutturali, geografici, geo-morfologici, vegetazionali, storici, culturali e paesistici di un comprensorio: l'unico parametro di riferimento per la sua individuazione non sarà nemmeno la sua vocazione faunistica, ma potrà essere solo l'applicabilità del divieto di caccia, vale a dire la sua compatibilità con le prevalenti esigenze venatorie locali davvero un bel successo !
Più maliziosamente, si potrebbe addirittura pensare che, in sede nazionale, vi siano effettivi interessi a che il sistema dei parchi della Lombardia subisca una consistente cura dimagrante: è certo che in alcuni ambienti non si è nascosta una qualche antipatia per questo esteso sistema di parchi, superficialmente denominati di carta", ed è possibile che molti paventino che la Lombardia, in virtù della dimensione di tale sistema, possa fare la parte del leone nella spartizione della torta dei finanziamenti statali! Quello che più conta è comunque che se questa linea di rigore dovesse affermarsi definitivamente vi sarebbe ben poco spazio per la sopravvivenza dei parchi regionali della Lombardia, la cui dimensione non può essere verosimilmente ricondotta entro così ristretti limiti territoriali e concettuali. Di fronte a questa desolante prospettiva non si può che appellarsi, dunque, al senso di responsabilità di chi, forse per le suggestioni di un malinteso integralismo protezionista, sta in realtà contribuendo, forse inconsapevolmente, alla demolizione delle più importanti difese che la nostra Regione ha faticosamente posto a tutela del proprio patrimonio naturale e culturale.
Si auspica pertanto la sollecita realizzazione di un'intesa che, nel comune interesse per la tutela dell ambiente in tutto il territorio nazionale, faccia finalmente prevalere la logica ed il buon senso e ponga fine nel modo più ragionevole a questa incresciosa vertenza, che già troppo tempo ed energie ha distolto dalle vere priorità di intervento, e che ha così tanto nociuto alla credibilità della politica dello Stato sulle aree protette.

*Servizio tutela ambiente naturale e parchi della
Regione Lombardia