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Sovente sembra che l'informazione ambientale in Italia costruisca una cultura della conservazione soltanto attraverso storie di ordinaria catastrofe o "cartoline" da luoghi splendidi. E' possibile costruire un rapporto meno soggetto alle "mode" e meno "pendolare" ? Il Coordinamento nazionale dei parchi e delle riserve, in collaborazione con l'Assessorato alle foreste e protezione civile della provincia di Trento, di Piemonte Parchi e della rivista Parchi, ha riunito a settembre in Trentino un gruppo di "addetti ai lavori". Da un lato giornalisti ed editori di riviste naturalistiche od ambientali, dall'altra operatori delle aree protette.
Obiettivo: trasformare, come indicava il titolo della giornata ("Natura e mass media: un rapporto difficile") in un rapporto più amichevole, culturalmente valido tra l'informazione e l'ambiente. L' ideaportante
dell' incontro è stata introdotta da Renzo Moschini, direttore della rivista Parchi, aprendo i lavori: «L'idea ci è venuta riflettendo sulla nostra esperienza molto peculiare e circoscritta di riviste dedicate alla conservazione delle aree protette e cercando un confronto con chi opera in questo settore da più tempo e con una visione più ampia». Una riflessione tanto più utile se la si inquadra nell'attuale fase della protezione: segnali preoccupanti di delegittimazione dell'istituzione e del ruolo dei parchi, messa in discussione del concetto stesso di area protetta accompagnata da un problema endemico: la residualità dell' informazione in materia di protezione.
Il tema era, ed è, interessante e vitale per diffondere una crescita culturale capace di far comprendere come dietro, e dentro, alla difesa della natura ed alla sua bellezza, vi sono problemi, nodi, contraddizioni. Una complessità che l'informazione, specie in un contesto di notizie "gridate", fa fatica a rappresentare.
Carlo Marletti, docente di sociologia della comunicazione all' Università di Torino, ha messo in luce nel suo intervento che esistono poche ricerche su questo particolare tipo di informazione. «Siamo in presenza - ha detto - di due circuiti: gli addetti ai lavori, i giornalisti di nicchia, si dice in termini tecnici, e i grandi media. Si tratta in sostanza di trovare una terza via alla grande informazione che per necessità è sintetica, semplificatrice e quella destinata agli appassionati ed agli addetti ai lavori, approfondita ma di impatto contenuto. Si tratta insomma di uscire da una "natura in vetrina" e da una "natura discarica"». Come è possibile? Marletti, pur non offrendo ovviamente ricette, ha proposto la costruzione di una comunicazione specifica da parte dei parchi, una sorta di "istruzioni per 1' uso", calibrate per i vari tipi di utilizzatori: dal l'appassionato al ricercatore, dal curioso al visitatore casuale. In altre parole, sviluppare una cultura del comunicatore che sappia addentrarsi nella complessità di far comunicazione corretta.
Cristina Lucchini, laureata con una tesi sull'informazione ambientale in riviste di grande tiratura e di associazioni ambientali, ha evidenziato come la forbice tra «il bello sempre raro, lembo felice, isola in mezzo al degrado» e il brutto «da esorcizzare, evitare, demonizzare» sia presente anche nelle riviste più attente e che pure molto hanno contribuito a far crescere in questi anni una coscienza del problema ambientale tra vasti settori di lettori.
Walter Giuliano, giornalista di Alp, con un partecipato intervento, ha ripercorso le origini del giornalismo di denuncia per sollecitare un rinnovato impegno dell' informazione soprattutto in tempi in cui «l'ambiente non sembra essere pagante, ridotto ad una moda caduta in disuso». Preoccupazione quanto mai importante, se si tiene conto che la discussione verteva intorno all'informazione scritta la quale, a sua volta, rappresenta soltanto una parte dell' informazione.
Tutte le testate di genere naturalistico e ambientale infatti possono contare su un pubblico sti-
mabile intorno al milione di persone. Le trasmissioni televisive divulgative assommano invece tra i 7 e gli 8 milioni di utenti.
Altri interventi hanno portato contributi ed approfondimenti dei temi formulando anche alcune proposte operative. In primo luogo un successivo appuntamento, tra qualche mese, fra le testate disponibili, per avviare un confronto periodico (una sorta di "osservatorio" come 1' ha definito il professor Marletti), e per "unire le forze" come ha auspicato Piero Amighetti, direttore di Trekking. Un'altra iniziativa è stata proposta da Moschini: realizzare uno stage di formazione sull'informazione per gli operatori dei parchi a cura del Coordinamento nazionale. (Gianni Boscolo)
L'ambiente in barattolo
Walter Giuliano
Per affrontare il tema del rapporto informazione e ambiente è necessario ripercorrere le fasi storiche di questo rapporto. L'interesse per la natura, con i primi sviluppi dell'ecologia descrittiva, risalgono alla fine del secolo scorso. Dopo l'unità d'ltalia fanno la loro comparsa le prime istituzioni naturalistiche con carattere quasi sempre scientifico o accademico, oppure permeate di un approccio sentimentale alle varie componenti naturali (1).
Per arrivare a una maggiore consapevolezza sull'importanza della natura negli equilibri del pianeta occorre tuttavia arrivare nel dopoguerra, con la fondazione del Movimento italiano protezione natura (Sarre 1948). Cronista di prestigio della riunione preparatoria di quella nascita, fu nientemeno che Dino Buzzati, nelle sue vesti di giornalista del Corriere della Sera.
Fu la sua amicizia con il conte Gian Giacomo Gallarati Scotti che lo portò, il 24 giugno del 1948, nella villa di Oreno di Vimercate dove vennero poste le basi per la nascita di quella che è considerata la prima isola dell'arcipelago ambientalista.
Buzzati ne scrisse con acume sul quotidiano di Via Solferino (2) dimostrando già allora una matura coscienza ecologica. La stessa che riaffermerà qualche anno più tardi scrivendo, nel 1952, a proposito della strada delle Tre Cime di
Lavaredo (3). In quella occasione il cronista Buzzati svolge un'analisi impietosa del nostro modello di sviluppo.
Un'analisi che troppo spesso manca ai cronisti di oggi. Anche quando, nel maggio del 1957, Buzzati partecipa alla fondazione dell'Ordine di San Romedio, protettore dell'orso bruno europeo, e ne riferisce sulle pagine del Corriere della Sera (4), la sua analisi acuta riesce a inserire il problema della tutela del grande plantigrado alpino all'interno di scenari più generali, confermando di aver ben compreso l'indissolubile legame che collega il corretto uso dell'ambiente e del territorio con un'economia che sappia guardare al lungo periodo e dunque al futuro dell'uomo.
Dunque Dino Buzzati potrebbe ben figurare come pioniere di quella schiera - ahimé ancora esigua - di giornalisti ambientalisti e forse proprio a lui si potrebbe intitolare l'associazione che li riunisce.
Scrisse nel 1971: "Personalmente non arrivo alle eroiche intransigenze di Antonio Cedema, ma sono dalla sua parte".
E la battaglia di Antonio Cedema comincia negli anni cinquanta sulle pagine de Il mondo di Mario Pannunzio. Sulle sue pagine iniziò la martellante campagna contro "i gangsters dell'Appia" e gli speculatori della "Città Etemit". L' impegno contro la speculazione edilizia dilagante e la distruzione dei centri storici e poi più in generale per la difesa del territorio ha accompagnato tutta la carriera giornalistica di Cedema, proseguita, dopo Il Mondo, prima al Corriere della Sera e poi alla Repubblica di Scalfari e all'Espresso.
Intanto la sensibilizzazione sui problemi della tutela dell'ambiente da consapevolezza di un ristretto gruppo di specialisti è via via divenuta una questione di interesse generale.
In questo salto di qualità hanno giocato un ruolo fondamentale i cittadini, riuniti nella varie associazioni ambientaliste, che elaborando via via argomentazioni sempre più scientificamente precise, hanno indotto la gente comune a porsi domande sui limiti della crescita e sulle ripercussioni degli inquinamenti nella vita di ogni giomo.
Momento fondamentale di questa sensibilizzazione generale fu la Conferenza internazionale sull'ambiente di Stoccolma del 1972. Fu l'occasione per la pubblicazione anche in Italia di testi
fondamentali nella storia dell ' ambientalismo (5 ) . Un proliferare così intenso di saggistica e di pubblicistica sulle questioni ambientali innescò un picco di interesse sull'argomento da parte dell'opinione pubblica. E non poté mancare una risposta, a questa domanda, da parte degli organi di informazione.
Fu così che all'inizio degli anni settanta le tematiche ambientaliste fecero la loro prima timida apparizione sui grandi mezzi di comunicazione di massa.
Panorama, in coincidenza con l'Anno europeo per la protezione dell'ambiente, pubblica nel maggio del 1970 un'inchiesta in due numeri sulla situazione italiana e mondiale ("L'acqua assassinata" e "La terra soffocata"). Poco dopo le stesse tematiche fanno la loro comparsa anche sull'Espresso.
Anche i quotidiani si muovono. La Stampa ospita i primi interventi di Mario Fazio; sul Corriere della Sera alla denuncia di Antonio Cedema sulla grave situazione di degrado del territorio e dei centri storici, si affiancano gli articoli sui problemi ambientali redatti da Alfredo Todisco. Su Il Giorno è invece la penna di Giorgio Nebbia a farsi interprete delle stesse problematiche.
L'emergenza ambiente comincia così a uscire dal ghetto delle riviste specializzate, che sotto la spinta dell'impegno ambientalista si erano nel frattempo moltiplicate.
Non possiamo dimenticare il mensile Acqua e aria sulle cui colonne Virginio Bettini trovò spazio per affrontare alcuni grandi temi ecologisti sino ad avere la possibilità di redigere l'appendice Denunciamo, poi destinata a trasformarsi in Ecologia, mensile di analisi e di lotta contro la degradazione ambientale, per un ambiente gestito da chi ci vive, che darà successivamente origine a quella che, attraverso varie trasformazioni, è oggi Eco - La Nuova Ecologia.
Il periodo è favorevole e non è un caso che già nel 1973 il Governo Rumor nomini il primo ministro per 1 'Ambiente nella storia della Repubblica, per la cronaca il socialista Corona, e che vedano la luce la prima "Relazione sullo stato dell'ambiente del Paese" e il "Libro bianco sulla natura" in Italia del CNR.
Sono tutte occasioni che portano l'ambiente sulle pagine dei mass media e la maggior parte delle testate si premurò di dotarsi di redattori o collaboratori specializzati nell'informazione "verde". Il vero fenomeno nel campo dell'informazione ambientale venne tuttavia qualche anno più tardi, con le riviste specializzate di grande diffusione. Nate sull'onda dell' americano National Geographic (primo emulo in Italia è Atlante) hanno avuto un discreto successo iniziale, poi hanno resistito solo le più consolidate.
Capostipite e leader di questo settore fu Airone, mensile inventato da Egidio Gavazzi per la Giorgio Mondadori Editore. Prima di lui aveva cercato di spiccare il volo Geodes, poi ridenominata Geos; sulla sua scia si è invece mossa Natura Oggi, presto inseguita da Oasis e da altre testate spesso di effimera presenza in edicola come ad esempio quell'Arancia blu diretta da un personaggio importante dell'ambientalismo scientifico di casa nostra come Enzo Tiezzi.
Anche i settimanali hanno via via concesso maggiori spazi alle questioni ambientali.
L'Espresso inaugura le sue "pagine verdi" curate da personaggi del calibro di Fulco Pratesi, Gianfranco Amendola, Giorgio Celli, Antonio Cedema; Panorama dà spazio alla sezione "Scienza e ambiente", Avvenimenti ospita dalla sua nascita la rubrica fissa di Fabrizio Giovenale e periodicamente apre le pagine a inchieste e corrispondenze nazionali e internazionali; Epoca ha dato per un certo tempo spazio all'allora ministro ombra del PCI per l'ambiente e primo presidente di Legambiente Chicco Testa. Famiglia Cristiana, offre spesso gli argomenti della difesa del pianeta all'attenzione dei suoi lettori, anticipando un interesse crescente verso il futuro ecologico della terra che si è via via intensificato nelle gerarchie ecclesiali, anche le più alte.
Nel campo dei quotidiani è La Stampa a fare da battistrada con l'inserto "Tutto scienze" inventato da Franco Pierini, in cui le tematiche ambientali hanno un certo peso. Così si intensifica la loro presenza anche nelle pagine della scienza del Corriere della Sera. Ma in entrambi i casi si tratta pur sempre di ghetti, anche se dorati, che di fatto ne emarginano la presenza nel giornale. La Repubblica insieme agli editoriali dell'indomito Cedema ha trovato in Antonio Cianciullo una penna attenta e sensibile che affronta con competenza oltre che con completezza le tematiche ambientali.
L'Unità ospita con frequenza i temi ambientali nelle sue pagine specializzate, non a caso ribattezzate "scienza/ambiente". Anche Il manifesto, diffidente come tanta parte della sinistra verso i problemi ambientali considerati per lungo tempo "passatempo borghese", ha via via aperto le sue colonne alle tematiche ambientali sino a fame oggi uno dei suoi cavalli di battaglia.
I giornali economici, in testa Il sole 24 ore e Italia oggi offrono informazioni ambientali, a sancire come il potere economico-industriale abbia ben presente il ruolo strategico dei fattori ambientali sia in fase di produzione che di marketing.
Anche il resto della stampa quotidiana, dal Giorno, alla Gazzetta del mezzogiorno, al Mattino, ha intensificato l'attenzione verso l'ambiente, istituendo appositi spazi all'interno del menabò del giornale, in ciò sollecitati sempre più soprattutto dal disagio del vivere quotidiano, specie delle grandi città, soffocate dallo smog e dai rifiuti. Spesso l'informazione è comunque affidata a cronisti non specializzati e poco preparati sull'argomento. Un segno di sufficienza verso tematiche che invece andrebbero spiegate al lettore lasciando da parte l'emotività e il sensazionalismo dando loro, per contro, sempre maggior rigore scientifico. E invece non mancano le bufale clamorose, come quella che, qualche anno fa, fece annunciare trionfalmente al Giornale di Montanelli che il buco nella fascia di ozono si era richiuso. Ignorando, il redattore, la stagionalità del fenomeno!
Il fatto è che le strutture redazionali sono dimensionate in maniera tale da vedere una presenza ridotta ai minimi termini di redattori specializzati in materia ambientale e capaci di decodificare l'informazione scientifica e tecnologica. Così come manca nella stragrande maggioranza dei casi la predisposizione a svolgere inchieste autonome da parte dei redattori.
E quasi sempre si ricorre al materiale di agenzia che Ansa, Agi, Adn Kronos, Dire e Asca, forniscono agli abbonati. L'Ansa trasmette dal 1988 un"Notiziario ambiente" settimanale, seguita due anni dopo da un'analoga iniziativa dell'Adn Kronos mentre dal 1991 ha preso il via "Dire ambiente"; anche l'Agi, sia pure a scadenze meno definite, confeziona un notiziario specifico dedicato alle aree protette. Inoltre Adn Kronos trasmette settimanalmente anche il "Diario del pianeta", notiziario internazionale
prodotto dalla statunitense United Media International (6).
Nonostante questa mole notevole di dati e di notizie che viaggiano sui terminali delle redazioni, l'informazione ambientale sta vivendo un momento di stallo quando non di vera e propria contrazione.
Eppure le questioni che riguardano la qualità della vita indissolubilmente legata a quella dell'ambiente e di riflesso a quella della salute collettiva, incontrano ancora la curiosità del lettore.
A questo interesse le redazioni devono attrezzarsi a rispondere inseguendo meno che in passato la notizia morbosa o dando spazio solo alla catastrofe. Si tratta di svolgere una funzione sociale più raffinata che informi il cittadino insegnandogli ad assumere comportamenti privati e collettivi più in sintonia con quell'eco compatibilità troppo spesso impiegata quando si parla di ambiente e troppo raramente spiegata nelle sue reali coordinate.
La situazione generale dell'informazione nazionale nei confronti dei temi ambientali vive ancora una stagione di indifferenza, con molti colleghi costretti a muoversi con equilibrismi sapienti che fanno arrivare sulle pagine della stampa nazionale la grave situazione di orsi, di lupi, di pipistrelli, di preziose specie di flora, ma che raramente consentono la denuncia di problemi scottanti, di guasti ambientali che coinvolgono interessi economici e/o politici identificabili con precisione. E che non a caso hanno riempito i fascicoli di Tangentopoli.
Senza con questo voler sottostimare i grandi problemi planetari di primaria importanza, va detto che, in genere, sui nostri organi di infommazione è più facile occuparsi dell'Amazzonia che della distruzione dei boschi di casa nostra; di Antartide piuttosto che dei ghiacciai della Mammolada. Passano più facilmente generici discorsi pietisti sulla fame nel mondo, che puntuali denunce della rapina perpetrata sistematicamente dai Paesi industrializzati sulle risorse naturali del Sud del mondo (a cominciare dal saccheggio delle risorse genetiche). Trasmettere il proprio pezzo che parla delle tartarughe marine di Lampedusa o degli orsi del Brenta è meno rischioso che parlare della questione dell'Acna di Cengio, dell'anomala insorgenza di tumori ad Augusta o a Priolo, o della Farmoplant o di Seveso.
Per i mille condizionamenti che lo percorrono il mondo giornalistico del nostro Paese si trova sicuramente a svolgere più spesso un ruolo di "megafono" del potere che di "strumento" al servizio della gente.
Manca completamente nel nostro sistema informativo di massa un discorso organico e sistematico capace di dar conto della complessità della crisi ecologica.
La frammentarietà delle notizie non consente al cittadino di avere la consapevolezza di un rischio ambientale reale che coinvolge ognuno di noi e che occorre responsabilmente affrontare a partire dai livelli più bassi per arrivare a chiedere conto delle decisioni della politica che investono la qualità dell'ambiente e in definitiva della vita.
L'informazione negata, in fatto di ambiente, la si avverte se facciamo il confronto, ad esempio, con gli Stati Uniti. Il gap è notevole.
Antonio Cianciullo, segretario generale dell'Aiga, ci informa che gli Stati Uniti battono l'ltalia dieci a uno secondo l'indice di attenzione al settore scienza-tecnologia-ambiente (7). I grandi quotidiani italiani investono in media un redattore a testa. Quelli americani invece hanno una redazione scientifica che opera a tutto campo, occupando spesso la prima pagina e sfiora almeno le dieci persone. Ma, annota Cianciullo, la differenza non è solo quantitativa. La differenza è anche di qualità e sta nella struttura dell'informazione, nella capacità di produrre in questo campo notizie ricavate da canali autonomi: solo il 10-20% dei servizi proviene da notizie di agenzia.
Da questa fotografia si deduce direttamente la responsabilità di direttori e caporedattori dei nostri organi di infommazione nel considerare i temi ambientali non abbastanza interessanti per il pubblico. Ma occorre altresì constatare che manca ancora una cultura capace di porre le questioni ambientali al centro degli interessi nazionali, cosa che invece accade per i Paesi più progrediti dove le emergenze planetarie non sfuggono né all'informazione né ai governanti.
Da noi invece il capo del governo si permette di ironizzare sull'effetto serra, mentre il riscaldamento del pianeta procede pericolosamente e l'anno in corso si annuncia come da caldo record mentre secondo i dati raccolti da Greenpeace dalla metà del secolo scorso ad oggi gli otto anni più caldi sono tutti concentrati a partire dal 1980. Dunque il tentativo di mettere in barattolo l'informazione o l'impegno politico sui temi ambientali non può essere accettato, perché si rivolterebbe contro l'intera società e finirebbe ben presto per metterci in coda nella corsa verso il nuovo millennio.
Ci culliamo nella nostra società del benessere, in cui la libertà è spesso confusa con la libertà di consumare. Ci disturba sapere che viviamo sulle spalle dei due terzi del mondo. Che da soli consumiamo i due terzi delle risorse e dell'energia del pianeta. Che nel Sud del mondo si muore anche perché noi possiamo concederci il lusso dello spazzolino elettrico. Che il caffé di ogni mattina significa centinaia di migliaia di ettari sottratti a colture cerealicole che potrebbero alleviare la morte per fame di milioni di bambini.
Rimuoviamo, e quotidiani e settimanali non ci aiutano a ricordare. Ma non si può accettare che una corretta infommazione ambientale, poiché spesso turba le coscienze e mette in discussione la nostra società con il modello di sviluppo che si è scelto, sia allora da mettere nel "barattolo", in contenitori speciali, da specialisti, che la gente normale non legge.
Ma dobbiamo anche lavorare per evitare qualche abuso e qualche eccesso nella denuncia, che ieri come oggi esiste e non aiuta ad affrontare con razionalità il problema. Finisce anzi con lo svilirlo, e con il creare una specie di assuefazione che di fatto lo emargina. Dobbiamo invece impegnarci perché le inchieste casuali, stimolate dalle periodiche campagne che gli ambientalisti con notevoli sforzi fanno, siano affiancate da una seria riflessione sulle cause dell'emergenza ambiente. Sul perché i nostri cibi sono inquinati, l'aria delle nostre città velenosa, anche le nevi eterne dei ghiacciai inquinate. Sul perché nonostante si sappia che dai tubi di scappamento delle auto escono veleni cancerogeni non si possa limitame l'impiego. Sul come mai non si adottino sistemi alternativi al trasporto di energia che sostituiscano i grandi elettrodotti responsabili dell'insorgenza di leucemia nei bambini, su come occorra arrivare a una corretta gestione della fauna selvatica, al rispetto degli altri animali, e stimolare la riconversione dell'agricoltura alla sua primaria funzione di fornitrice di alimenti sani che allontani i veleni dal piatto.
Su questi argomenti da inchiesta si registra invece un vuoto quasi assoluto. E anche quando si incontra qualche servizio sui parchi, non si va oltre 1' "immagine", la facciata, rinunciando allo spunto che queste realizzazioni offrono per indicare ad altre situazioni la possibilità che protezione possa significare, anche, economia. Rompe talvolta questo stereotipo l'inchiesta sulla discarica di rifiuti che fa scendere in piazza centinaia di cittadini, oppure la protesta per i picchi di inqui namento atmosferico che si registrano in vicinanza di alcuni stabilimenti. Ma scarso rilancio, al di fuori dei confini regionali, ha avuto, ad esempio, una vicenda come quella della Etemit di Casale Monferrato in cui le responsabilità delle fibre di amianto nell'insorgenza del mesotelioma sono state accertate non solo tra gli addetti dell ' azienda, ma hanno coinvolto una buona fetta della popolazione della cittadina piemontese compreso chi, con l'amianto, non aveva mai avuto niente a che fare. La responsabilità di tutto questo sta anche in quegli operatori dell'informazione che spesso si ritengono appagati dal tesserino granata e da privilegi che garantiscono una vita tranquilla. Bisogna per contro recuperare la voglia di esercitare una funzione di controllo sul potere, di stimolo al miglioramento, che ridia al giornalismo la sua funzione sociale.
Il nostro mestiere deve recuperare un ruolo che non sia soltanto quello di megafono del potere, ma tomi ad essere coscienza critica e funzione sociale.
Non dobbiamo far vedere i paradisi che ancora esistono senza mettere in allarme il lettore e informarlo che ogni minuto che trascorre quel paradiso è un po' più deteriorato. E che non si salverà se non sapremo dare un indirizzo al nuovo ordine mondiale che metta in primo piano - come la conferenza di Rio ha indicato - l'esigenza di mettere in atto una seria politica di tutela ambientale a livello planetario.
Commentando i recenti disastri provocati all'ambiente della nostra penisola dagli incendi dolosi che la percorrono ormai con puntualità a ogni stagione secca, il regista Ermanno Olmi, senza per questo giustificare questi atti criminali, ha invitato a una riflessione più generale che dovrebbe essere sempre ben presente: «Pensate a come, legittimati da regole dell'economia, della produzione, della concorrenza, noi devastiamo minuto dopo minuto, instancabilmente il pianeta, fiumi, foreste, aria terra...» (8). (Editore Alp)
- 1. Per approfondimenti sulla storia del movimento ambientalista cfr: W. Giuliano 1989, La prima isola dell'arcipelago. Pro Natura, quarant'anni di ambientalismo, Ed. Pro Natura Torino e W. Giuliano 1991, Le radici dei Verdi. Per una storia del movimento ambientalista in Italia, IPEM Edizioni, Pisa.
- 2. S.O.S per l'orso alpino e altre povere bestie, in Corriere della Sera, 27 giugno 1948.
- 3. Salvare dalle macchine le Tre Cime di Lavaredo, in Corriere della Sera, 5 agosto 1952.
- 4. I protettori degli orsi fondano 1'Ordine di San Romedio, in Corriere della Sera, 14 maggio 1957
- 5. Tra i principali testi occorre citare Una sola terra di Barbara Warde René Dubos; il discusso I limiti dello sviluppo elaborato dal Massachusset Institute of Technology su incarico del Club di Roma; La morte ecologica di Edward Goldsmith e Robert Allen; La società suicida di Taylor; La rivoluzione ambientale di Nicholson; i lavori di Barry Commoner, primo tra tutti ll cerchio da chiudere. Senza dimenticare la Primavera silenziosa di Rachel Carson che dieci anni prima aveva lanciato l'allarme sulla chimicizzazione dell'agricoltura e le sue conseguenze sulla salute collettiva.
- 6. F. Cingolani, Al supermarket dell' informazione l'ambiente ha pochi clienti, in Eco Letter a.l, n. 1, marzo 1994.
- 7. A. Cianciullo, La sfida americana, in Eco Letter a.1 n. 3, maggio 1994
- 8. In La Stampa, ven. 19 agosto 1994.
Le riviste "patinate" sotto esame Cristina Luchini
Il repertorio che la stampa periodica italiana di informazione ecologico-ambientale oggi può offrire è decisamente vario. Comprende i notiziari e i bollettini delle varie associazioni protezionistiche, la stampa militante e politicizzata, le riviste tecnico-scientifiche, i periodici professionali ed infine le cosiddette "patinate di lusso", all'interno delle quali si distinguono poi diversi orientamenti. Vi sono infatti riviste naturalistiche, testate di interesse etnologico-geografico, periodici di carattere turistico ambientale e infine riviste per ragazzi.
Dopo aver tracciato una mappa, quanto più attenta e completa mi è stato possibile, di questo esteso arcipelago di testate, ho ritenuto necessaria una scelta selettiva ed oculata delle riviste da considerare. Ho deciso innanzitutto di puntare l'attenzione sulle patinate di lusso perché, proprio nei confronti di questo tipo di stampa ambientalistica, che pur registra il successo editoriale più elevato, sono sorte le polemiche più aspre. Il rimprovero più frequente mosso a queste testate è stato infatti quello di rivolgere una cura eccessiva all'apparato iconografico e una scarsa attenzione al valore contenutistico. Sono state poi accusate di superficialità, di mancanza di obiettività nella valutazione delle problematiche ambientali, di tendenza al catastrofismo, di scelte pubblicitarie poco attente alle esigenze della difesa ambientale e, infine, di mero sfruttamento della moda ecologica.
Nell'impossibilità di svolgere un esame completo ed esaustivo di tutte le patinate presenti sul mercato, ho assunto come oggetto della ricerca otto riviste, la cui selezione ha tenuto conto dei vari orientamenti e delle diverse qualificazioni. Tra le riviste naturalistiche ho pertanto scelto Airone, il primo periodico di questo genere pubblicato in Italia che ha fatto dunque da esempio e da modello ai successivi, e Natura. Tra le riviste di carattere turistico e geografico la scelta si è invece diretta su Bell'Italia, fondata col proposito di fornire una risposta tempestiva e competente alla crescente istanza di valorizzazione, conservazione e recupero del patrimonio artistico e naturale della nazione; ViedelMondo, periodico di servizio edito dal Touring Club Italiano con la collaborazione, a garanzia di autorevolezza ed attendibilità, della National Geographic Society; e infine Atlante, la prima rivista geografica pubblicata in Italia che si occupa solo indirettamente delle problematiche ambientali incentrando primariamente l'attenzione su interessi etnologici, turistici e geografici. Tra i periodici rivolti ai ragazzi, la preferenza si è orientata su Airone Junior, che fin dai primi numeri ha dichiarato un serio intento educativo e didattico e su L'Orsa, il primo mensile italiano di carattere naturalistico dedicato esclusivamente ad un pubblico giovanile. Per valutare inoltre la serietà di impegno e l'affidabilità del messaggio ecologico trasmesso da queste riviste, ho ritenuto opportuno includere nell'analisi anche il periodico La Nuova Ecologia: la testata di riferimento fondamentale della parte più politicizzata del movimento ambientalista.
La ricerca ha avuto come finalità la valutazione, attraverso un'analisi qualitativa e quantitativa delle riviste sopra citate (considerate nella loro completezza dal primo numero fino al giugno del 1992) del tipo di messaggio ecologico che questi periodici trasmettono e la verifica dell'effettivo contributo da essi apportato all'ecologia.
Il bilancio dell'analisi è stato decisamente positivo. Il contributo che questo tipo di stampa ambientalista ha dato alla divulgazione delle tematiche ecologiche e alla diffusione di una cultura naturalistica e protezionistica è stato fondamentale e ha spesso supplito alla mancanza di iniziativa del governo e della scuola.
Dalla ricerca emerge chiaramente come tutti i periodici considerati, sia pure in misura differente a seconda delle singole qualificazioni e della tipologia del pubblico al quale si rivolgono, trattino con frequenza, impegno e serietà le problematiche ambientali, inducendo i lettori ad una chiara presa di coscienza dell'emergenza ecologica, senza per questo scadere nel tanto inutile quanto immobilizzante catastrofismo.
Focalizzando l'attenzione soprattutto sulla qualità delle immagini e sulla leggibilità dei testi è innegabile che queste riviste abbiano fatto dell'ecologia anche un vero e proprio businnes: una materia di svago oltre che di insegnamento, un terreno di divertimento oltre che di divulgazione scientifica, un campo di interesse culturale oltre che di decisioni politiche importanti.
Promuovere attraverso l'immagine la conoscenza, l'amore e dunque il rispetto per l'ambiente naturale, non significa del resto degradare il valore della natura alla percezione esterna ed epidermica del paesaggio. Significa, al contrario, divulgare la coscienza della preziosa funzione che la natura detiene per l'armonico sviluppo dell'uomo e, di conseguenza, rafforzare la volontà di lottare per la sua salvaguardia.
Il contributo concreto che queste riviste hanno inoltre apportato assumendo un importante ruolo di sorveglianza, protesta e denuncia in tutti quei casi di carenze politiche, amministrative, legislative e giudiziarie, che purtroppo ancora abbondano nel settore ecologico, contribuisce a smentire l'opinione comune che ritiene queste riviste tanto più funzionali quanto più politicamente sterili, dal momento che si rivolgono ad un pubblico essenzialmente alla ricerca di una lettura di evasione.
Se in ultimo le scelte pubblicitarie attuate da queste riviste non sono sempre risultate coerenti col messaggio ecologico trasmesso, bisogna comunque riconoscere che hanno contribuito all'innovazione ambientalista di molti prodotti commerciali e alla diffusione della cultura del rispetto ambientale, del risparmio energetico e del riciclaggio dei rifiuti. (Laureata)
Il caso concreto del Conero, un parco nel mirino della stampa Mariano Guzzini
E' singolarmente affascinante, e persino consolante, notare come le tematiche del rapporto tra media ed ambiente con il passare degli anni e degli incontri tra addetti ai lavori si evolvano e si affinino, pressoché per virtù propria, quasi che la forza delle cose riesca a prevalere sulla dissonanza cognitiva delle fonti, di chi adopera le fonti e di chi fruisce dell'informazione e la consuma in tutti i sensi.
Infatti, nonostante che le fonti non siano ancora in grado di fornire materiali sufficientemente differenziati a seconda dei pubblici da coinvolgere, e sufficientemente completi, la complessità e la importanza delle tematiche della comunicazione ambientale emergono prepotentemente, e rendono già superate quella felice coppia antinomica inventata da Carlo Marletti nel convegno di Torino del dicembre 1991, che fissava i confini dell'effetto media sull'immaginario ambientale tra il catastrofismo (cioè la denuncia allarmistica ed apocalittica) e l'indifferenza (cioè la visione rassicurante, la bella immagine, la cartolina patinata).
Ebbene, pur in presenza di una straordinaria offensiva istituzionale e politica contro i parchi, oggi è possibile verificare che in nessun media, nazionale o locale, a diffusione via etere oppure su supporto cartaceo, riesce a reggere una informazione che oscilli tra quei due confini. La bella immagine finisce per appannarsi, ed a doversi misurare - sia pure a fatica e controvoglia - con le complessità delle nuove caratteristiche dei parchi, che oggi si definiscono in rapporto con il territorio esterno alla parte protetta, e con il tema dello sviluppo sostenibile, della nuova occupazione, della nuova agricoltura, del nuovo turismo . Ed i giornalisti cultori della denuncia scandalistica, e della drammatizzazione di un giorno, sono costretti - a fatica e controvoglia - ad interrogarsi sul fascino di possibili inchieste, che magari non fanno perché non hanno fonti, o fondi, o voglia, che inquadrassero il fenomeno o il fattarello denunciato nel suo naturale sfondo e nei temi strutturali.
Il caso concreto che ho sottoposto ai partecipanti all'incontro di Passo Rolle su "Natura e mass media: un rapporto difficile", riguardava una campagna di stampa martellante che il quotidiano di Ancona, Corriere Adriatico ha condotto nei confronti del Parco regionale del Conero a partire dall'11 agosto fino ai primi giorni di settembre, ininterrottamente, dedicando ai problemi veri o presunti del parco una o due pagine ogni giomo, con permanente richiamo in prima pagina e con il posto d'onore nelle locandine diffuse nelle edicole di tutta la Riviera del Conero. Venticinque giorni di martellamento pubblicistico sono un caso limite, soprattutto se il "martellamento" riguarda una tematica in genere poco frequentata, com'è quella dei parchi.
L'analisi del caso concreto della campagna di stampa che per venticinque giorni consecutivi ha condotto il Corriere Adriatico di Ancona sul parco regionale del Conero non può essere riassunta neppure per sommi capi in questa sede, senza l'ausilio della riproduzione delle venticinque/trenta pagine pubblicate, delle venticinque prime pagine e di qualche locandina. L'intero materiale - tuttavia - sarà organizzato in un audiovisivo che analizzeremo quanto prima in un incontro con studenti di giornalismo e giornalisti. Quel materiale mette in evidenza la possibilità che per futili motivi si possa innescare una sorta di "bomba informativa" assolutamente selvaggia, che può produrre effetti devastanti oppure conseguenze molto positive, o anche brandelli dell'una cosa o dell'altra, a seconda che sussistano delle capacità minime di fomire "fonti informative" da parte del soggetto indagato (in questo caso il parco del Conero), ed a seconda che esista una reale capacità di lettura onesta delle fonti da parte dei giornalisti dell'organo di stampa che è partito nell'avventura della super campagna di mezza estate.
Siamo a metà tra le tematiche alla Stranamore (se impazzisce l'autocontrollo, chi fermerà la catastrofe di una campagna apocalittica spinta al massimo?) e le riflessioni sulla maturazione in atto del destinatario post-analfabeta della comunicazione giornalistica. L'esperienza vissuta questa estate ha messo in evidenza come sul percorso, già studiato dai sociologi ("latenza - drammatizzazione - riflessione sui costi - nuova latenza") si possono inserire tematiche talmente simili da provocare una lunghissima drammatizzazione, sulla quale si inseriscono attori pubblici, rappresentanti di interessi forti, passanti con mania di protagonismo, uomini pubblici che si travestono da passanti e passanti che si atteggiano ad uomini pubblici.
Tutto questo "rumore" è benefico per la causa della riqualificazione della comunicazione ambientale? Direi di sì. E' un po' il discorso del finché c'è vita, c'è speranza. Finché c'è questo infernale rumore, terreno di coltura di mille trappoloni e di diecimila strumentalizzazioni, è sempre possibile avere un vasto pubblico di lettori per veicolare notizie che in nessun altro momento avrebbero tanti lettori. Ed è anche possibile avviare un rapporto con il mondo dell'informazione tale da prefigurare una modifica in positivo dell'elaborazione delle fonti, e dell'uso delle fonti da parte dei giornalisti.
Tutto questo - ed altro ancora - è dimostrabile da un'analisi dettagliata del caso particolare già citato. Dal quale mi permetto di trarre proposte più generali, da verificare nei prossimi mesi. Da parte nostra, cioè da parte di chi opera nei parchi o negli uffici parchi delle Regioni e delle Province, è tempo di ripensare al modo in cui confezioniamo le "fonti" delle notizie che le agenzie o i giornalisti poi adoperano. Ritengo sia possibile migliorare di molto la qualità delle fonti, azzerando gli autoelogi ed i genericismi, aumentando la complessità e la problematicità, differenziando i destinatari professionali delle fonti che mettiamo sul mercato dell'informazione. E' anche possibile, in collaborazione con gli ordini dei giornalisti e con le facoltà di giornalismo, promuovere stages formativi e corsi di perfezionamento, o anche stimolare tesi di laurea su temi che ci interessano, in modo da colmare il vuoto che tutti avvertiamo tra la "denuncia allarmistica ed apocalittica" e la "visione rassicurante della cartolina patinata o del servizio a pagamento che illustra come tutto vada bene madama la marchesa" con i contenuti che vanno diffusi affinché l'Italia resti agganciata alle dinamiche europee, e non si perda nel rumore elettronico e nello scandalismo di bassa lega. (Presidente Parco del Conero) |