Manifesto |
PARCHI | |
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi NUMERO 17 - FEBBRAIO 1996 |
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Uomini e Parchi Oggi: Ricordando Valerio Giacomini |
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"Uomini e parchi", il libro di Valerio Giacomini completato dal suo principale collaboratore Valerio Romani per l'improvvisa scomparsa dell'autore, è del 1982. In questi quindici anni sono accadute tante cose, anche molto importanti per quanto riguarda i parchi del nostro Paese. Anche noi siamo riusciti a darci una legge nazionale. La mappa delle aree protette è profondamente cambiata e la loro superficie è notevolmente cresciuta. Anche la concezione dei parchi non è più la stessa. Giusto chiedersi quindi se un libro, che quando uscì ebbe l'effetto di un sasso lanciato in uno stagno, possa avere ancora oggi una sua attualità. Nel senso che la sua rilettura nella nuova situazione risulti utile non solo a farci stimare come merita l'autore di cui a fine maggio ricorderemo in un convegno nazionale, promosso dal Coordinamento nazionale dei parchi e dalla Regione Lombardia d'intesa con la Comunità montana dell'Alto Garda Bresciano, l'opera di scienziato e l'impegno di esponente del movimento ambientalista. Ebbene, non possono esserci dubbi; il libro conserva una sua indiscutibile attualità. Chi avrà modo di leggerlo ed anche di rileggerlo, come è capitato a me, penso rimarrà colpito e persino un po'sorpreso da questo fatto. Non si fa certo fatica d'altronde a capire perché, al momento della sua uscita, esso abbia potuto suscitare tante reazioni anche di aperto dissenso. "Uomini e parchi" non è sicuramente un libro scritto con intenti "paciosi". Giacomini dice chiaro e tondo che sui parchi occorre fare, per usare il titolo di una sua raccolta di saggi, una 'rivoluzione tolemaica'. Come ebbe a ricordare l'autore stesso, proprio per questo la sua presenza fu persino rifiutata in più di un convegno a conferma di quanto essa fosse considerata "poco ortodossa e quindi scomoda". E a leggere il libro se ne capiscono perfettamente le ragioni. A giudizio di Giacomini infatti "gli orientamenti in materia di parchi e, in generale, delle zone di tutela non sono certamente il frutto di una visione chiara ed unitaria, come simile argomento esigerebbe". In quegli anni, a partire cioèdal 1970, in Europa anche tra gli organismi internazionali preposti alla conservazione "si èandata propagando un'ondata di divulgazione ecologica con un'informazione massiccia quanto grossolana". Un'ecologia dagli orizzonti ridotti, "di connotazioni piùdenunciative che costruttive e di scarso spessore culturale". Giacomini èovviamente consapevole di toccare temi scottanti, una materia "troppo facilmente oggetto di appropriazione". Lo sa, e sembra voglia mettere le mani avanti quando afferma che lui cercherà"di riproporre i temi della conservazione in termini strettamente realistici, anche se, sotto molti aspetti, essi potranno apparire proprio per la loro natura di volta in volta provocatori o illusori". Il libro rispetteràampiamente e rigorosamente queste impegnative premesse. Della necessitàdi questa "svolta", perchédi questo si trattò, Giacomini si era convinto giàda tempo e lo aveva preannunciato qualche anno prima. Nel 1978 aveva scritto infatti: "stiamo passando dai problemi facili ai problemi difficili, da un'ecologia dilettantesca e improvvisata a un'ecologia che tiene conto dei veri, dei grandi problemi dell'uomo e della biosfera". E questo saràil filo conduttore di "Uomini e parchi"; la ricerca di una risposta adeguata, all'altezza cioèdelle esigenze che pone oggi un'ecologia globale, la quale non puòesaurirsi nel campo naturalistico, ma si dilata a comprendere sempre piùimpegnativamente gli interessi del territorio inteso come habitat delle popolazioni umane. Risulteràsubito chiaro che, date queste premesse, i parchi cesseranno di costituire 'un interesse esclusivamente naturalistico ed ecologico, in senso stretto, per divenire problema di respiro territoriale, sociale, economico e politico. Quell'ecologia elementare che a giudizio di Giacomini con il suo imperversare sui giornali, nelle forme associative e nei mezzi di comunicazione ègiunta a produrre una svalutazione della piùautentica ecologia, e che èalla base di quella concezione del parco, quale assetto idealizzato di recinti naturali, viene per la prima volta, usiamo pure questo termine, radicalmente contestata, messa in discussione per la sua riduttività, per i suoi metodi tanto rigidi quanto semplicistici. C'è, come si vede, una malcelata insofferenza per tutte le forme di manicheismo naturalistico per il quale ogni intervento èstato spesso pervaso da una sorta di guerra all'uomo profanatore di una natura vittima. E' una critica trasparente e diretta anche ai movimenti ambientalisti di cui pure Giacomini riconosce vasti meriti per tutto quanto hanno potuto e saputo realizzare. Ad essi addebita peròdi avere smarrito i veri contenuti di un'azione ecologica globale, dimenticando che la sua caratteristica èquella di ampliare i propri orizzonti unendo e non separando, cogliendo i rapporti tra i fenomeni in una visione e prospettiva unificatrice. E il libro a questo mira; a unificare, a ricomporre ciòche èstato separato anche nella concezione e gestione dei parchi nazionali, "i quali, ancorati a schemi e normative ormai obsolete, sopravvivono a stento in un mondo di ostilitàcertamente poco edificanti che la loro stessa fisionomia istituzionale e territoriale ha generato". Se difatti la protezione attiva della natura non èconfortata da motivazioni connesse al progredire della specie umana, essa perde ogni equilibrio scientifico, per avviarsi su strade incerte rispetto a quella di una "conservazione globale" attuabile soltanto con l'uomo e per l'uomo. Fissate queste nuove, fondamentali coordinate i parchi escono, diciamo meglio, sono tolti dalla loro nicchia protettiva e dal loro "splendido isolamento" entro cui li ha collocati una concezione ed un'esperienza giunta ormai al capolinea. I parchi insomma perdono per cosìdire la loro "sacralità", quell'alone un po' aristocratico che li ha sottratti per anni alle piùprosaiche vicende della vita economica, sociale e istituzionale, lasciandoli tutt'al piùalle prese con le ristrettezze di una gestione segnata dalla taccagneria e spesso dal menefreghismo dei pubblici poteri. Di colpo, senza troppi riguardi, vengono gettati nella mischia; neppure loro, verrebbe da dire, possono piùaspirare a ritagliarsi spazi di tutto riposo, in una natura accogliente e gratificante. Anche per loro ègiunto il momento di fare i conti con un mondo incattivito e convulso che non si ferma neppure ai confini di queste oasi felici. Anche i parchi debbono perciòattrezzarsi per far fronte a questa nuova realtàe condizione, e debbono farlo in fretta senza troppi rimpianti ed esitazioni. I nuovi parchi, cosìpossiamo definirli, alla luce anche delle esperienze nuove che proprio in quegli anni vanno facendo numerosi parchi regionali, debbono quindi misurarsi con problemi fino a ieri sconosciuti o comunque rigorosamente esclusi dalle proprie finalità. E si comincia proprio dai confini, dalla loro perimetrazione; includervi zone antropizzate, centri urbanizzati non soltanto non èpiùconsiderato una profanazione o un'eresia, ma diviene, al contrario, almeno nella maggior parte dei casi, una necessità. Al punto che puòessere opportuno inserire anche aree non molto pregiate naturalisticamente o anche degradate, le quali potranno trarre giovamento da una maggiore tutela. Stessa cosa per quanto riguarda gli strumenti di gestione. Ieri bastavano un elenco dei divieti e un minimo di vigilanza. Ora non più. Anzi, bisogna evitare gli eccessi di un "vincolismo" fine a séstesso per passare coraggiosamente alla pianificazione come momento della piùgenerale gestione di un territorio. Le attivitàeconomico-sociali, segno inconfondibile di presenze umane, non sono piùpertanto pregiudizialmente da considerarsi incompatibili e quindi estranee, e da estromettere da un territorio protetto o, se eccezionalmente incluse, da contenere e comprimere; ma vanno anch'esse considerate come un valore, una risorsa da gestire con equilibrio attraverso semmai una loro graduale riconversione. L'uomo infatti con questa sua presenza "marca", potremmo dire, un territorio con segni, trasformazioni che costituiscono spesso un patrimonio da conservare e trasmettere alle generazioni future sotto il profilo paesaggistico e culturale. E' su questo terreno che deve operarsi, e si tratta, inutile dirlo, di impresa tutt'altro che facile: quella ricomposizione, oggi si direbbe pace o alleanza, tra uomo e natura, in cui il primo non sempre e comunque èun distruttore e la seconda non èsempre e solo meraviglia. Ci vuol poco a capire che questo tipo di parco, quale Giacomini delinea e "disegna" èassai piùdifficile e piùcomplesso da definire, perimetrare e soprattutto gestire. Esso deve per la prima volta misurarsi con problemi e usare strumenti inediti: basti pensare al piano, al nuovo rapporto con le istituzioni titolari di funzioni che si intersecano e in taluni casi si sovrappongono o confliggono con quelli del parco. Ma non cambia soltanto, ed abbiamo visto quanto, la fisionomia e la condizione, diciamo così, "intema" al parco. Muta profondamente il rapporto tra il territorio del parco e il restante territorio. Quella netta cesura tra interno ed esterno che a lungo ha caratterizzato come un connotato (e un limite) peculiare l'area protetta, addensando al suo confine, "perenne trincea di una guerra combattuta a colpi di compromessi e di prevaricazioni", un'inesauribile conflittualità, finalmente si affievolisce per lasciare il posto ad una "comunicabilità" nuova. Tanto da far ipotizzare, sia pure per un futuro al momento remoto, il superamento dell'idea stessa di parco. Per intanto peròesso si connota rispetto al territorio "esterno" piùper differenze quantitative che qualitative. Questa notazione, che Giacomini non mancheràdi rimarcare anche in altre circostanze, potrebbe sembrare una riduzione, un "impoverimento" e un arretramento rispetto a quell'idea tradizionale e consolidata di parco inteso come "santuario della natura". Ma non ècosì. Il parco che "dialoga" e interagisce con il circostante territorio èun parco chiamato ad assolvere a compiti incomparabilmente piùambiziosi, complessi e impegnativi. "Il parco - scrive Giacomini - èl'inizio di un'effettiva riconversione del territorio, o meglio dei costumi della sua trasformazione verso l'abolizione generalizzata di separazioni fra usi, consumi e tutela della risorsa, e come tale esso èquindi 'proiettato' verso l'esterno, èluogo di ricerca e di sperimentazione per il ripristino degli ecosistemi degradati e della difesa del suolo in generale, ma anche - si noti - di vere e proprie sperimentazioni urbanistiche, architettoniche, tecnologiche e persino giuridiche". Si possono facilmente immaginare gli effetti prodotti da un'impostazione del genere che rimetteva in discussione, possiamo dirlo tranquillamente, dalle fondamenta l'idea di parco e la concezione protezionistica che gli era sottesa. Dove ieri l'efficacia e la validitàdi un parco, come del resto quella di una riserva (Giacomini contesteràvigorosamente l'equiparazione allora in voga anche negli organismi internazionali tra parco e riserve "analoghe") si misurava in base alla quantitàe tipologia di vincoli e divieti vigenti. Oggi esso deve riuscirci non tanto indicando con "pignoleria" quel che èvietato, ma indicando e prospettando concretamente e con chiarezza quel che èpossibile e giusto fare. Poste le cose in questi termini assolutamente "nuovi" la questione del consenso diviene fondamentale, risolutiva. Giacomini sul punto insiste a lungo e vi torna ripetutamente nel corso di tutto il libro, sia quando si riferisce con espressioni di solidarietàe comprensione ai residenti e alle loro esigenze che il parco deve "rispettare", specialmente nei territori piùemarginati e poveri della montagna, sia quando si sofferma sul ruolo delle istituzioni locali e degli amministratori. Un parco che sempre piùdovràconfigurarsi "come un organismo territoriale in continuo movimento, che si espande, si contrae, si adatta e si modifica, in pratica evolve perennemente, anche nei suoi aspetti dimensionali e normativi", deve poter contare sul consenso e sulla piùcompleta disponibilitàpopolare e su un'impegnata gestione da parte degli amministratori locali, affinchéi processi appena richiamati continuino validamente nel tempo attraverso un'efficace pianificazione. E' un'impostazione che si differenzia nettamente da quella dell'associazionismo da sempre diffidente, se non ostile, nei confronti delle istituzioni locali, alle quali preferisce di gran lunga quelle centrali nelle quali ripone maggiore fiducia. Giacomini nel libro esprimeràun giudizio severo sul testo di legge-quadro sui parchi allora in discussione in Parlamento. Mentre riconosce il valore di una politica nazionale, ritiene peròche il suo successo poggi sul coinvolgimento delle amministrazioni e popolazioni locali. Anzi, se la legge nazionale avesse ricalcato, come Giacomini fondatamente allora temeva, vecchie e "polverose" impostazioni, sarebbe stato meglio non farne di niente ed affidarsi alla fantasia e iniziativa delle Regioni e degli Enti locali che avrebbero potuto muoversi con maggiore agio e libertà. E per evitare di essere frainteso Giacomini avràparole sferzanti verso chi manifesta verso la "gente" tanta preconcetta sfiducia. Diràdi loro che non hanno alcun titolo per parlare della gente dal momento che non hanno mai voluto e saputo ricercarne concretamente la collaborazione. C'è, piùche una critica, una sorta di sfida verso chi tarda a prendere atto che i tempi e i problemi sono cambiati. C'èuna non nascosta insofferenza verso chi si ostina a coltivare il proprio orticello e non ha il coraggio di misurarsi con le novità. A questo punto chiedersi se èancora di attualitèla lettura di "Uomini e parchi" èevidentemente retorico. C'èe come. Certo il libro, come èinevitabile, presenta anche parti più"invecchiate", piùcaduche. Ma èl'impianto complessivo che non ha perduto lo smalto, che conserva un'invidiabile "freschezza", anche nel linguaggio. La nuova legge-quadro per molti aspetti dàragione a Giacomini. Per altri, lui stesso avrebbe continuato probabilmente, se non a polemizzare, sicuramente a discutere. Penso alla questione degli Enti di gestione. Giacomini temeva, e non lo nascondeva, che una gestione diciamo così"troppo" autonoma dei parchi avrebbe potuto alimentare ed accrescere gli elementi di confusione e di conflittualitàistituzionale che lui temeva molto. Ma tutto questo nulla toglie al fatto che la nuova legge sui parchi accoglie l'idea di fondo del libro: che il parco èil punto di incontro dell'uomo con l'ambiente per sperimentare le scelte del futuro. E qui, piùche chiudersi, il libro di Giacomini si riapre sui problemi di oggi dandoci ancora una mano. (R. M.) | ||