Quattordici anni dopo eccoci nuovamente in viaggio nella Sicilia dei Parchi. Ne scrivemmo sul primo numero di questa rivista, nel lontano 1990. Siamo tornati nelle aree protette "terrestri", che in Sicilia sono esclusivamente regionali, per discutere con presidenti e direttori e cercare di capire - con il loro aiuto - a che punto è arrivata la politica di conservazione della natura nella più vasta regione italiana.
Prima di provare a ripercorrere insieme ai protagonisti la storia ormai quasi ventennale dei Parchi siciliani, è opportuno accennare brevemente al quadro normativo di riferimento. Innanzitutto la legge regionale che diede il via all'avventura delle aree protette: la numero 98 del 1981, dieci anni prima dell'agognata legge quadro nazionale. Una partenza certamente tempestiva, ma soffocata dal successivo lentissimo incedere del procedimento istitutivo delle più estese aree protette. La legge 98 del 1981 infatti confidava sulla costituzione "dal basso" dei Parchi, con il concorso dei rappresentanti degli enti locali, delle associazioni ambientaliste, degli studiosi. Fu un fallimento perché dopo anni di sforzi venne abbandonata la "via democratica" alla protezione della natura e spettò ai commissari ad acta raccogliere il patrimonio di elaborazioni incompiute lasciato dai comitati e giungere infine ai decreti istitutivi. "In realtà ritengo che allora non ci fosse molta voglia di Parchi nelle comunità locali - ricorda oggi il presidente delle Madonie, Massimo Belli - a quel tempo l'istituzione delle aree protette venne determinata quasi esclusivamente dalla pressione delle associazioni ambientaliste".
I tre grandi Parchi della regione videro infine la luce fra la seconda metà degli anni Ottanta e l'inizio del decennio successivo (Etna 1987, Madonie 1989, Nebrodi 1993). Tutte aree protette di montagna dove la natura si era conservata meglio grazie alla scarsa pressione demografica ed ai minori interessi economici legati a terre marginali. Tutte zone svantaggiate alle quali i Parchi si rivolgevano promettendo nuove opportunità di sviluppo. La legge del 1981 giungeva persino ad assicurare canali di finanziamento privilegiati ai Comuni che avessero "sacrificato" i loro territori ai Parchi. Ma non è solo questo il riferimento allo sviluppo dell'economia eco compatibile contenuto nella normativa siciliana. Tant'è che sia il presidente delle Madonie, al suo secondo mandato, che Giuseppe Giacalone, commissario del giovane Parco fluviale dell'Alcantara (istituito nel 2001) indicano ancora oggi proprio questo aspetto della legge 98 come uno dei suoi punti qualificanti. La norma legislativa è quindi ritenuta tuttora valida nel suo impianto fondamentale. Benché nel frattempo siano intervenute la legge quadro nazionale (non ancora pienamente recepita in Sicilia), una legge regionale ed un po' di articoli sparsi in leggi omnibus che hanno ritoccato qua e la diversi aspetti della legge 98/81. Su un punto soprattutto permane evidente la differenza con la legge quadro, laddove in Sicilia continuano ad esistere i Comitati tecnico scientifici composti da professori universitari e ambientalisti, i quali esercitano di fatto una influenza decisiva sia sulle politiche programmatorie degli enti sia sulla ordinaria attività amministrativa (rilascio autorizzazioni etc). Dal punto di vista delle dinamiche gestionali la vicenda concreta degli Enti Parco non è riuscita a distinguersi in maniera netta rispetto ai modelli amministrativi prevalenti in Sicilia. Anche se non mancano certo i successi, come quelli rivendicati puntigliosamente da Massimo Belli, presidente delle Madonie: "La mia nomina ha rappresentato una sfida ed una manifestazione di rottura rispetto alla consuetudine degli incarichi che maturano sempre negli stessi ambiti. La mia scommessa è stata quella di far crescere un'area protetta in cui l'uomo avesse diritto di cittadinanza, in cui partendo da una situazione in cui non c'era una risma di carta intestata siamo arrivati alla condizione attuale in cui definiamo i nulla osta in 60/90 giorni. Oggi i progettisti sono contenti se accertano che l'Ente competente - conclude Belli - è il Parco, perché gli assicuriamo maggiore celerità". A fronte di una scommessa vinta, le Madonie come gli altri Parchi siciliani vivono l'irrisolta questione del loro stesso profilo istituzionale. Debbono essere una snella agenzia di protezione e sviluppo del territorio o debbono fornire tutte le garanzie, ma anche le lentezze dell'Ente pubblico? Nel Sud che cerca di rincorrere l'Europa, si può pensare - com'è successo- di rendere incisiva l'azione di un Ente Parco con un direttore che chiede l'aspettativa subito dopo aver vinto il concorso pubblico? Quale profilo per i vertici operativi dei Parchi: alti dirigenti o manager dello sviluppo eco-compatibile? Per il momento la normativa siciliana su questo argomento non ha voluto rischiare soluzioni innovative. Gli ampi poteri regionali concessi dallo Statuto del 1946 hanno consentito al legislatore di Palermo di intervenire precocemente in materia di conservazione del patrimonio naturale, ma non di rivoluzionare - almeno in questo settore - prassi e strutture amministrative che nel Meridione non si sono mai storicamente distinte per dinamismo ed efficacia. Anzi mentre si dibatte tanto di rapporti stato-regioni, i protagonisti del protezionismo siciliano raccontano la storia emblematica di un mancato coordinamento ormai ventennale fra organi della stessa Regione. È il caso della relazione problematica fra Parchi e forestale siciliana, gli uni sottoposti alla supervisione dell'Assessorato Territorio e Ambiente, l'altra facente parte dell'Assessorato Agricoltura e foreste. La questione aperta è quella vitale dei servizi di sorveglianza nelle aree protette.
La legge del 1981 stabiliva che dovessero essere i Parchi ad avere uno loro corpo di guardie, ma dopo 23 anni questo articolo è rimasto lettera morta. I tre Parchi hanno anche diligentemente previsto le figure addette alla vigilanza nelle piante organiche, ma non c'è stato nulla da fare.
I soldi per le assunzioni non sono mai arrivati. "Al Parco dei Nebrodi riteniamo la questione vigilanza talmente vitale - spiega il direttore Salvatore Giarratana- da avere persino indetto ed espletato i concorsi per 28 guardia parco e 3 ispettori, benché ci aspettiamo delle difficoltà nel reperimento delle risorse finanziarie da destinare alle assunzioni". La sorveglianza nel frattempo, sui Nebrodi come altrove, resta delegata alle guardie forestali, che dipendono da un'altra branca dell'amministrazione regionale e che sono veramente poche.
Il presidente del Parco dell'Etna, Concetto Bellia, usa sull'argomento un'espressione efficace: "È come se il sindaco di un comune per far controllare il mercato o il traffico davanti alle scuole dovesse ogni volta ricorrere ai carabinieri." Ma questa è in effetti la situazione in cui si trovano gli Enti Parco siciliani. Debbono rivolgersi attraverso l'opportuna via gerarchica alla stazione forestale competente (che spesso ha solo quattro o cinque guardie) affinché qualcuno si occupi di una zona in cui sono stati segnalati bracconieri o costruttori abusivi.
Così si va avanti da anni sul filo di una incerta collaborazione fra le strutture territoriali (Parco e Ispettorati forestali), con risultati più o meno soddisfacenti legati alla sensibilità personale dei vari responsabili locali; mentre a Palermo non ci sono stati sinora due assessori, facenti parte dello stesso governo, capaci di incontrarsi e di trovare una soluzione ragionevole al problema. Eppure non dovrebbe essere poi così difficile siglare una intesa che preveda ad esempio intanto una subordinazione funzionale di qualche distaccamento forestale agli Enti Parco, in modo da dare maggiore incisività e omogeneità di indirizzo ai servizi di vigilanza nelle più grandi aree protette. L'incomunicabilità fra le due branche dell'Amministrazione regionale siciliana è ancora più incomprensibile all'osservatore esterno se si considera che l'Azienda regionale foreste demaniali (altra costola dell'Assessorato Agricoltura e foreste) è diventata di fatto il più importante soggetto gestore di Riserve naturali, incaricata di condurre le più note ed estese aree protette di questo genere (Zingaro, Vendicari, Cava Grande, Pantalica etc). Il paradosso è che mentre l'Azienda regionale foreste è diventato un qualificato "collega" degli Enti Parco - riuscendo fra l'altro ad ascriversi rilevanti successi nella gestione di alcune Riserve - dall'altra il Corpo forestale, da cui dipendono le guardie, conduce una esistenza separata, che a volte appare soprattutto tesa a preservare uno spazio di intangibile autonomia. Sullo spinoso argomento Massimo Belli, presidente delle Madonie, conferma la sua linea pragmatica: "Continuo a dialogare con i "cugini" della Forestale e devo dire che le cose vanno meglio di qualche anno fa, anche se siamo lontani dalla situazione ideale". Se l'argomento vigilanza va certamente elencato fra i grandi insuccessi della politica protezionistica in Sicilia, la sorpresa positiva di questi ultimi anni è stata invece la capacità degli Enti Parco di giocare un ruolo da protagonisti sul difficile "mercato" dei vari strumenti comunitari di sostegno. Passati gli anni in cui l'istituzione delle aree protette sembrava duramente osteggiata dalle comunità locale, gli enti gestori hanno finito invece con il proporsi come soggetto capace di coordinare gli obiettivi e le politiche di sviluppo di territori omogenei, in linea con le indicazioni dell'Unione Europea. In occasione della celebrazione dei primi dieci anni del Parco dei Nebrodi, il suo presidente, Marcello Fecarotti, ha ricordato con soddisfazione che l'Ente "ha costituito uno strumento di coinvolgimento e di aggregazione e non di rado anche di traino nel segno di politiche corrette e lungimiranti". E non è stata di poco conto la presenza per tanti anni appunto di Marcello Fecarotti negli organi dirigenti di Federparchi, considerato che il risultato pratico e simbolico è stato quello di far confrontare costantemente una realtà geograficamente e culturalmente marginale - anche rispetto al contesto siciliano - con le più importanti istituzioni del settore a livello nazionale e internazionale. Il direttore dei Nebrodi, Giarratana, si spinge ancora più in la nel valutare l'azione dell'Ente rispetto alle comunità locali: "Abbiamo dato una identità ad un intero comprensorio che prima viveva nella realtà atomizzata dei territori comunali, grazie anche ad una eccezionale stabilità amministrativa siamo riusciti a creare un legame stretto con i sindaci ed a suscitare dei duraturi cambiamenti culturali". Sull'onda di questo consenso istituzionale intorno ai Parchi è arrivato il PIT da 40 milioni di Euro per i Nebrodi, in cui l'Ente Parco è capofila e soggetto responsabile. Sulle Madonie è arrivato un progetto LIFE affidato al Parco finalizzato alla conservazione del raro Abies nebrodensis, un progetto Agenda 21, un altro PIT. Il Parco dell'Etna, da parte sua, ha avviato un protocollo d'intesa con gli Enti interessati per curare il coordinamento di tutti i progetti con finanziamento europeo legati al suo territorio. Del resto per il presidente dell'Etna, Concetto Bellia, la via della concertazione è scritta nel suo DNA personale, visto che al Parco è arrivato nella qualità di sindaco e c'è rimasto quale massimo organo rappresentativo: "Da quando ricopro questo ruolo - spiega Bellia - sto cercando di dimostrare sia ai sindaci - che spesso hanno considerato l'area protetta un ostacolo ai loro progetti - sia alle associazioni, che con il Parco si può e si deve parlare. Anche nei casi in cui sono arrivate delle minacce alla stessa integrità del Parco ho risposto con fermezza, ma anche avanzando delle contro-proposte". Non deve essere stato facile nemmeno arrivare alla stesura ed alla approvazione definitiva della pianificazione territoriale, meta raggiunta sia per i Nebrodi che per l'Etna nel 2004, dopo anni di andirivieni degli elaborati fra i tecnici ed il Consiglio del Parco. Mentre nelle Madonie il Piano è già da tempo al vaglio dell'Assessorato regionale. Secondo gli auspici dei progettisti i Piani di coordinamento dovrebbero segnare un momento di discontinuità rispetto a modelli culturali purtroppo assai diffusi e dovrebbero consentire finalmente uno sviluppo armonico del territorio. Obiettivi non poco ambiziosi in una Regione dove ancora nel 2003 il parlamento ha approvato una norma (L.R n. 4 del 16 aprile) che ha stabilito il principio del silenzio assenso entro 90 giorni per tutte le pratiche di sanatoria edilizia in attesa di nulla osta presso gli enti di tutela. Di fatto lentezze burocratiche ed esigenze finanziarie della Regione hanno concorso all'ennesima sanatoria generalizzata estesa anche ad una parte delle aree protette. Di fronte alle contraddizioni della politica della Regione ed al continuo avvicendarsi di assessori, i Parchi siciliani stanno comunque dimostrando una grande capacità di adattamento e di creatività. Non solo stanno svolgendo un ruolo importante nella gestione dei fondi comunitari, ma stanno riuscendo a inventare percorsi d'arte contemporanea lungo le strade dell'area protetta (Madonie); partecipazioni al salone del gusto di Torino per promuovere i prodotti tipici (Madonie); il progetto di un sistema turistico locale integrato iniziando a riunire sotto un unico cartellone tutte le sagre e le manifestazioni comunali( Etna); concerti di musica classica ed acquisizioni di palazzi storici (Nebrodi). Di tutto e di più per rispondere alle specificità dei territori, per tamponare le falle di cui altri non si curano, per provare ad operare la sintesi di un mondo tradizionalmente individualista. E mentre i Parchi regionali "storici" sono alle prese con le riflessioni dell'età matura, c'è anche un nuovo nato: il Parco fluviale dell'Alcantara, istituito nel 2001 come ampliamento di una Riserva, ancora alle prese con lo stato nascente. Un commissario straordinario pieno di entusiasmo (Giuseppe Giacalone), la funzione di direttore svolta da un dirigente distaccato dall'Assessorato regionale, 14 dipendenti di varia provenienza. Il territorio per il momento è di soli 2000 ettari, ma potrebbero diventare 30 mila se verrà approvato il piano definitivo di perimetrazione predisposto dal consorzio CUTGANA di Catania. In definitiva una "mission" del Parco ancora tutta da inventare, a metà fra l'autorità di bacino (mentre le competenze in materia di utilizzo delle acque in Sicilia appartengono ancora agli uffici del genio civile) e il parco tradizionale. Insomma per il Parco fluviale dell'Alcantara non è ancora tempo di bilanci, ma solo di progetti per il futuro.
di Giuseppe Riggio (Membro della redazione di Parchi)
Passioni verdi L'idea di colorare le passioni è di Remo Bodei. Lo ha fatto nel 1995, in una "Storia delle passioni" proposta da Laterza (il suo saggio si intitolava "Il rosso, il nero, il grigio: storia delle moderne passioni politiche"). Lo ha fatto di nuovo nel 2001, nel volume di Donzelli dedicato a "La politica, perché?" (il contributo si chiama "passioni politiche" e ai colori di sei anni prima viene aggiunto il bianco). Tuttavia la tavolozza del celebre professore di storia della filosofia non si è ancora misurata con il verde. Ci provo io, con mezzi poveri, da ex studente e da informato dei fatti. Se le passioni rosse fanno riferimento alla omonima bandiera, sventolata nel quartiere parigino di Saint Antoine e poi nella Comune di Parigi, connotando progetti di lungo periodo volti alla nascita di uomini nuovi, e le passioni nere si richiamano alle divise degli "arditi" della prima guerra mondiale, e connotano passioni disincantate, che conducono alla bella morte indifferente allo sfascio di un vecchio mondo marcio, le passioni grigie sono quelle moderate, democratiche e riformiste, e le bianche quelle del bianco fiore, con una visione dell'impegno sociale legata al cielo piuttosto che alla terra, non si vede perché non sia tempo di introdurre le passioni verdi, radicate nella natura, nei paesaggi e nell'idea di tutela attiva. Attaccare questo vagone agli altri è una fatica minima. La lacuna era evidente, e colmarla è un gioco da ragazzi. Infatti sono moltitudini i ragazzi (e i ragazzini) che nelle scuole vengono allevati a merendine e bandiere verdi, da insegnanti che sono sbandati e disorientati su ogni altro argomento (e colore) ma che trovano una unità sulle ragioni delle scienze naturali e delle loro passioni derivate.
Parchi e passioni verdi Dopo di che cominciano i problemi. Poiché la passione verde è gradevole da gestire finché si limita a rincorrere e ad osservare farfalle, aironi e falchi pellegrini, difendendo le foche monache e demolendo alberghi e seconde case abusive. Ma quando cresce e pretende di definirsi anche in rapporto con le altre più note e studiate, quando chiede di essere riassunta in due parole per essere più certa e definita, e non per dissolversi in slogan buoni per vendere qualunque merce, la cosa si complica, e qualche nodo viene al pettine. I parchi, sono nati per dare risposte stabili alle passioni verdi? E a quali, in particolare? E se è vero che la democrazia immagina di dover garantire la feconda coabitazione di tutte le passioni, che si arricchiscono a vicenda, in che misura le passioni verdi possono coabitare con le altre? Per avviare una passeggiata di avvicinamento a questi quiz partirei da una considerazione geografica. Se ragioniamo a partire dall'Italia e dalle sue specificità, già sappiamo che lo scenario è fatto di novità dell'ultimo cinquantennio che rispondono a domande fortemente elitarie, appoggiate da un confuso sentimento di massa indotto dalla comunicazione e dalla istruzione. Chi lamenta le difficoltà che i parchi incontrano nel forare il muro di gomma della comunicazione generalista, pur avendo ragioni da vendere, spesso trascura il peccato originale che rende ovvia la impermeabilità della scena del teatrino della comunicazione maggiore ai protagonisti delle principali avventure scatenate da passioni verdi. Quel peccato originale si è consumato in un Paese arretrato, che rincorre l'Europa senza riuscire mai a raggiungerla veramente, e che spesso si consola inventando primati che, scavando appena un po', si rivelano falsi e bugiardi. La passione verde è stata, e per molti versi resta ancora, un sentimento di élite, vissuto da segmenti colti, dotati di una loro cultura di nicchia, e di una sorprendente (ma anche pericolosissima) capacità di supplenza nei confronti di ogni struttura di potere che non abbia la medesima cultura.
Il passaggio chiave Quando il fragile tessuto di amministratori dei parchi, di studiosi e di tecnici, autodefinisce il sistema delle aree protette italiane tra i migliori del mondo, e il migliore d'Europa, forse non mente. Ma di certo mente a se stesso quando non dice, contemporaneamente, di non contare nulla nei confronti di un paese legale che va in altre direzioni, sulla spinta di passioni rosse, nere, bianche e grigie che non hanno nessuna intenzione di lasciarsi guidare da passioni verdi. Perché è precisamente questo il passaggio chiave. La cosiddetta democrazia dell'era della società della comunicazione e dell'era della globalizzazione disordinata non consente la pacifica convivenza delle passioni, ma ha bisogno di una sola passione al timone, con altre che collaborano a manovrare la barca. Al timone possono avvicendarsi passioni rosse, bianche, grigie o nere. Ma è escluso che possano arrivarci passioni verdi. Quindi, forza con le supplenze. Ma non è possibile supplire sempre, agendo "come se", e lavorando con i paraocchi dorati della convinzione di fare comunque l'interesse generale nelle difficili condizioni date. La politica è dietro ogni angolo. L'amministrazione e la burocrazia non tollera scavalcamenti e tantomeno supplenze. Sicché si finisce come quei malati che si credono Napoleone ma vivono imbottiti di tranquillanti, in aree protette da infermieri e medici psichiatrici.
Figli di un dio minore?
La passione verde non può essere regalata alle maestre elementari, o ai professori di scienze naturali delle medie superiori, né ai supermercati del biologico, e neppure alle associazioni sedicenti ambientaliste. Tutte brave persone, intendiamoci. Ma tutte poco interessate a rischiare le personali posizioni di rendita in una impresa di effettivo rilancio della passione verde sul tavolo del potere maggiore. Oggi la passione verde è un sentimento di nicchia, elitario, compresso e frustrato. Questo ritratto vale per ogni altro colore? Non direi. Un giro al timone della barca comune quei colori lo hanno fatto tutti, con risultati noti. E tutti sono candidati a tornare al governo della barca. Poi è altrettanto vero che dentro ogni colore esistono minoranze molto colte che producono pensieri lunghi e progetti forti, e centrali operative che si incaricano di ridurre quei pensieri in slogan e in merce. Ma nel mondo piccino delle passioni verdi non c'è quella divisione del lavoro. O meglio: c'è tutto, meno la struttura che consente l'accesso al potere politico e amministrativo, tant'è che niente è più triste del periodico passaggio di alcuni brillanti ambientalisti nelle aule parlamentari, o nei sottoscala dei ministeri competenti. Come si esce da questa condizione di figli di dei minori? Intanto acquisendo una consapevolezza piena della fase che si sta attraversando, e quindi abbandonando ogni supponenza pochissimo motivata, ogni boria, ogni eccesso di consapevolezza di essere una brillante avanguardia, perché le avanguardie senza eserciti e senza retroguardie sono come gli eserciti cittadini che immaginava Machiavelli in tempi di compagnie di ventura. Una volta consapevoli dell'anacronismo, e rimessi gli orologi al giorno d'oggi, e una volta presa coscienza di vivere in un paese mediterraneo, con passioni multicolori e personale di governo in crisi, dovremmo lavorare maggiormente sulla modernizzazione delle reti dei poteri locali, ripartendo dalle trincee abbandonate quando si riuscì a dare vita ai parchi regionali, dalle altre trincee, egualmente abbandonate, di quando si riuscì a dare vita al ministero e ai parchi nazionali.
Il valore della memoria
Certo, richiamare alle armi quelle classi (che, peraltro, non hanno mai rotto le righe) comporterà qualche fatica. E saranno necessarie anche nuove leve. Ma la passione verde può diventare una nuova speranza nazionale solo se riscopriremo le radici, e guarderemo con meno semplicismo alle forme della politica e delle istituzioni. È ora di smetterla con ogni tipo di supplenza. Ciascuno faccia quello che deve fare, pretendendo che chi ha altri compiti li eserciti, o denunciando apertamente le assenze. Basta con la finzione delle Regioni che si occupano dei parchi. O degli enti locali. Per non parlare dei governi, tutti, rossi, neri o grigi. Occorre fare un passo indietro rispetto ai trionfalismi, e perfino rispetto alla nostra personale coscienza di essere molto bravi e molto europei. Se nessuno si accorge della nostra bravura, se nessuno ci ascolta quando ripetiamo slogan che sembrano ormai senza contenuto (la carta della natura; la leale collaborazione; le politiche di sistema; lo sviluppo sostenibile), vuol dire che non siamo bravi, o che non sappiamo mettere a frutto la nostra bravura. Che, tradotto in una passione bianca, suonerebbe "non saper spendere i propri talenti". Che - si rilegga il Vangelo, per capire la gravità del fatto - è una azione assai riprovevole. Ecco perché a me pare giudizioso aprire una sezione dedicata alla memoria di quanto la passione verde ha prodotto in un recente passato. Per togliere le sterpaglie che coprono le antiche trincee, per seppellire i morti, ma anche e soprattutto per riordinare le fila di quanti hanno addosso passioni verdi, indicando un nuovo cammino ed una rinnovata speranza. Così come ci invita a fare Giuseppe Riggio, che ritesse trame antiche, per indicare poi l'unica strada che resta da percorrere, all'Alcantara e ovunque: la via della goccia che scava i sassi.
M.G.
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