La presenza di pendici coltivate a olivo, ma anche di resti di numerosi frantoi lungo i corsi d'acqua, testimonia una vocazione antica, comune al territorio calabrese nella sua interezza. Forte dell'influsso marino (avvertibile anche nelle aree lontane dalla costa), la regione possiede una buona estensione olivicola che ne fa il secondo serbatoio nazionale dopo la Puglia. Raramente, però, questo gran patrimonio è trasformato in olio di qualità. Il più delle volte le aziende praticano un'olivicoltura quasi anacronistica: soprattutto nelle zone più interne persistono ricettacoli di coltura rudimentale mentre, lungo la fascia costiera, un'idea di produzione più votata alla qualità, forte di tecniche lavorative che non rinunciano al progresso tecnologico, comincia a radicarsi nel pensiero (e nei prodotti) di alcuni validi olivicoltori. La lunga lista delle cultivar - autoctone e alloctone - che ben si sono adattate alle condizioni pedoclimatiche calabresi comprende Coratina, Frantoio, Leccino, la Nocellara del Belice e quella Messinese, Carolea, Cassanese, Dolce di Rossano, Roggianella, Grossa di Gerace, Ottobratica e Sinopolese. Da un così eterogeneo gruppo di varietà è chiaro che non possono nascere che oli extravergine dalle caratteristiche organolettiche varie, ora contraddistinti da un intenso profumo fruttato e vegetale, ora rimarcanti piacevoli note gustative di mandorla o nocciola.