(Marsiconuovo, 22 Set 18) Continua il tentativo sistematico da parte di Legambiente di screditare l'operato del Parco Nazionale dell'Appennino Lucano e dei suoi vertici. È ormai sotto gli occhi di tutti il fatto che l'associazione ambientalista ha come unico scopo in Basilicata la lotta a questo Ente e che i suoi rappresentanti, nell'impeto di una guerra senza senso, perdono di vista le più elementari norme del rispetto delle regole che sovrintendono alle attività degli organi direttivi, così come stabilito dai regolamenti.
A tal proposito è persino superfluo ricordare che il provvedimento di decadenza della dottoressa Susanna D'Antoni dal consiglio direttivo dell'Ente Parco, contestato nell'ultimo comunicato dell'associazione ambientalista, era stato un atto conseguente all'applicazione del regolamento di nomina ministeriale dei suddetti membri. Tale regolamento stabilisce che la decadenza del componente dell'organo direttivo si applichi in conseguenza di tre assenze prive di giustificazione. Il consiglio direttivo altro non ha fatto che osservare tale norma.
Il reintegro della dottoressa D'Antoni è motivato dalla presentazione da parte della stessa dei giustificativi delle assenze, riconosciuti legittimi da parte del ministero. Fantasiosa e priva di alcun fondamento giuridico, oltre che ai limiti della risibilità, è la richiesta fatta da Legambiente dell'annullamento degli atti emessi dall'Ente Parco durante la sospensione della D'Antoni, periodo durante il quale il consiglio direttivo ha operato nella piena legittimità e con la presenza della maggioranza dei suoi membri in ogni seduta.
Evidentemente la richiesta di annullamento di tutti gli atti emanati dal consiglio direttivo, conseguente a tale originale interpretazione dello stesso decreto di nomina dei suoi membri, è espressa a cuor leggero da parte di Legambiente, che avrà considerato circostanza poco dannosa per sé tale eventualità visto che il periodo incriminato non vede provvedimenti a favore dei suoi circoli.
È ben strano, infatti, che tale accanimento nei confronti della dirigenza dell'Ente Parco riguardi solo questo ultimo anno. È dalla sua istituzione che l'Ente Parco opera sotto il continuo controllo ministeriale e mai sono ricorsi i termini o le circostanze per un commissariamento. Questo dimostra quanto sia fantasiosa e faziosa l'interpretazione del diritto da parte dei soliti noti di Legambiente, altrimenti la loro attenzione si sarebbe rivolta anche altrove, magari a circostanze che vedono al centro dell'attenzione proprio coloro che continuano a inveire contro il Parco.
Sarebbe bene che i legali di Legambiente, piuttosto che perdere le proprie energie contro un Parco che già vive molte criticità esterne e che avrebbe bisogno di maggiore solidarietà e sostegno, prendessero in esame ricorsi che riguardano l'idoneità alla funzione di direttore di parco nei quali sono espressamente citati i propri dirigenti. Ci riferiamo al ricorso presentato al TAR del Lazio da un professionista che contesta proprio a Ennio Di Lorenzo i titoli presentati per l'iscrizione all'albo dei direttori di parco. Abbiamo avuto modo di sottolineare già in altri comunicati quanto Di Lorenzo sia interessato al ruolo di direttore del Parco dell'Appennino Lucano, del quale insieme alla sua associazione chiede continuamente le dimissioni, ma oggi scopriamo che proprio la iscrizione a tale albo è oggetto di ricorso di un professionista che ritiene di essere stato discriminato, al punto di chiedere l'annullamento del decreto di aggiornamento dell'albo dei direttori, basando il proprio ricorso proprio sulla contestazione a Di Lorenzo di quella "indiscussa competenza" che lui chiede ad altri.
In ultimo va considerato che il fumoso, più che famoso, dossier di Legambiente sul Parco dell'Appennino Lucano è nelle mani del ministero dell'ambiente già da tempo, ma lo stesso ministero non ha ritenuto di prendere provvedimenti in seguito alla valutazione dello stesso. È dunque oltremodo superfluo e dannoso per l'immagine dell'area protetta continuare ad agitare ombre di malagestione e di contiguità con multinazionali che operano sul territorio da decenni, e rischia di vanificare il lavoro quotidiano che guide, esperti e naturalisti svolgono a favore del Parco e non certo dei suoi organi dirigenti, che hanno dimostrato la propria indipendenza opponendosi, quando le norme lo permettono, ad attività dannose per la biodiversità. Lo dimostrano le osservazioni che esprimono parere sfavorevole alla recente richiesta di ENI di perforazione del pozzo "ALLI5".
Dobbiamo concludere che la logica del "tanto peggio tanto meglio" ha pervaso ormai completamente Legambiente di Basilicata e qualche suo dirigente nazionale, in spregio del reale lavoro che si svolge a vantaggio del territorio.