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Terebinti d’autunno, finalmente

(29 Nov 23) Dai e ridai, alla fine il freddo è arrivato. Non chissà cosa, ma sufficiente a far comparire quei colori autunnali che quest'anno, con le temperature folli di ottobre e quelle comunque miti fin oltre metà novembre, latitavano.

Ora il verde delle roverelle – le più dure a ingiallire o a imbrunire – comincia a stemperarsi, mentre i carpini e gli ornielli vanno già dal bronzo al rame fino al bel rosso sangiovese di questi ultimi.

Certo, sulla Vena mancano i faggi e gli aceri di monte delle Foreste Casentinesi e i castagni dorati si limitano a qualche pendice sui versanti nord in sinistra Senio, sotto Monte del Casino o sotto la Sella di Ca' Budrio. Ma per qualcosa che manca, c'è anche qualcosa di più: solo sulla Vena potete trovare il terebinto (Pistacia terebinthus), che è una sorta di pistacchio selvatico capace di diventare arancione o rosso paonazzo creando un contrasto molto squillante e molto piacevole con il verde cupo dei lecci con cui condivide l'habitat: quella sorta di macchia mediterranea rada e discontinua tipica dei versanti sud di Monte Mauro o Monte della Volpe. A prevalere, qui, sono le rocce nude o appena punteggiate di Sedum (piante grasse "a tappeto" anch'esse arrossate dai primi geli), di asparago selvatico, di ginepro e di elicriso. Alberi veri e propri non ce ne sono e gli unici arbusti sono appunto i terebinti e i lecci allo stato cespuglioso assieme a qualche sparuto orniello e a qualche roverella prostrata dal vento.

Per la verità piccoli lembi di semi-macchia mediterranea (tecnicamente "gariga" o meglio "garida" come propose di chiamarla il grande botanico Pietro Zangheri facendo notare che nella prima prevalgono i sempreverdi e nella seconda, come nel caso nostro, le caducifoglie) compaiono già sui gessi di Brisighella – crinale di Ca' Marana ad esempio – e soprattutto attorno al Carnè, anche solo dove i rimboschimenti di cipressi e pini neri dei passati decenni non sono stati così intensi e diffusi da coprire tutto il versante. I primi terebinti sono visibili già a bordo-strada nella breve passeggiata necessaria, al Carnè, per raggiungere il rifugio dal parcheggio più vicino. Poi più a ovest, nel selvaggio massiccio di Monte Mauro, i terebinti cambiano e diventano, da comparse, autentici protagonisti, fino a caratterizzare il paesaggio. Ad aprile schiudono le loro prime foglioline, anch'esse curiosamente color ruggine, nella prima estate sfoggiano i loro meravigliosi frutti simili a coralli e adesso mostrano i loro gialli, i viola, i bruni.

Se li volete vedere va benissimo, appunto, il Carnè, sulle rocce assolate e più aride, oppure fate un qualsiasi sentiero sui versanti sud della zona fra Sintria e Senio: a titolo di esempio il Sentiero dei Cristalli da Zattaglia fino alla vetta di Monte Mauro oppure, a piacere, il 511 che segue sempre l'omonima cresta: i terebinti li avrete alla vostra sinistra, sulle ripide falesie che d'inverno formano un unico, immenso "solarium" capace di regalarci microclimi degni del Conero. Siamo infatti su uno di quegli "spruzzi" della grande onda mediterranea che raggiungono anche la Romagna.

Sandro Bassi

Terebinti d’autunno, finalmente
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